Category Archives: NATO

Bad&Shit

TUTTO QUELLO CHE NON DOVETE SAPERE

SOUND OF FREEDOM

⚠️2 MILIONI DI BAMBINI ALL’ANNO VENGONO RAPITI E POSTI IN SCHIAVITÙ SESSUALE, ECCO IL FILM “SOUND OF FREEDOM”

TUTTO QUELLO CHE NON DOVETE VEDERE

Copiate i link direttamente su Google e potete vederli

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I bambini PALESTINESI MArtiri degli Ebrei in Palestina, Bambini Massacri in PAlestina il 28 GIUGNO

MASSACRI QUOTIDIANI

Le forze di occupazione israeliane arrestano tre bambini a Nablus. https://palestinahoy.com/israeli-occupation-forces-arrest-three-children-in-nablus/

DEPORTATI DAGLI EBREI… PULIZIA ETNICA: Israele costringe ora migliaia di palestinesi a lasciare le loro case nel campo profughi di Jenin.

GLI EBREI NON HANNO PIETA NEMMENO PER I BIMBI, IN PALESTINA

Una bambina palestinese piange dopo i bombardamenti israeliani nel campo profughi di Jenin. Migliaia di palestinesi sono stati costretti a lasciare le loro case sotto la minaccia di attacchi da parte delle forze di occupazione israeliane.

Questa mattina i bulldozer dell’occupazione israeliana hanno distrutto intenzionalmente le infrastrutture stradali e dell’oleodotto nel campo profughi di Jenin.

le forze di occupazione israeliane espellono ora più di 300 famiglie palestinesi dal campo profughi di Jeni

L’operazione di sparo e speronamento di oggi a Tel Aviv ha causato numerose vittime tra i coloni



LE PROSSIME FOTO SONO MOLTO MOLTO PESANTI

GUANTANÁMO Guantanamo Torture

A proposito di Guantànamo, c’è una testimonianza sconcertante sul sito dell’organizzazione umanitaria Reprieve, organismo formato da avvocati, difensori dei diritti umani, fondato nel 1999 da un giurista britannico, Clive Stafford Smith, che fornisce supporto legale e investigativo gratuito ad alcune delle persone più vulnerabili del mondo: quelle che si trovano ad affrontare una detenzione da 18 anni, senza essere mai stati accusati di nulla, vittime delle politiche abusive contro il terrorismo degli Stati Uniti. L’azione di questi avvocati avvocati e investigatori sono supportati da una comunità di persone di tutto il mondo.

Il campo di prigionia statunitense di Guantánamo Bay è stato aperto vent’anni fa, l’11 gennaio 2002. Il governo degli Stati Uniti vi ha ingiustamente e illegalmente detenuto oltre 800 uomini musulmani.

I clienti di tregua sono stati rinchiusi a Guantanamo Bay senza accusa né processo per due decenni. Sono “prigionieri per sempre”, sottoposti a tempo indeterminato a torture, abusi e detenzione.

Anche i detenuti ‘autorizzati al rilascio’ come i nostri clienti Saifullah, Ahmed e Asadullah stanno aspettando al buio, senza alcuna informazione su quando torneranno a casa. 

Ecco perché dobbiamo parlare: Guantánamo deve essere chiuso.


MOLTE FOTO SONO DI WASHINGTON TIMES

TUTTE LE TORURE DELLA CIA CON I MEDICI COMPLICI




NESSUNO DEI TORTURATORI MASCHI E FMMINE E? STATO CONDANNATO







LE DONNE TORTURANO PIU DEGLI UOMINI







https://salvatorebulgarella.com/2023/06/28/obama-family/

Missioni Militari Italia

L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; ART 11 COSTITUZIONE

Dall’esame della deliberazione del Governo sulle missioni internazionali inviato al Parlamento – da leggere insieme alle disposizioni del Decreto Ucraina approvato a marzo – emerge che le missioni militari italiane all’estero per il 2022 presentano, rispetto allo scorso anno, un incremento di costi complessivi (da 1,35 a 1,5 miliardi di euro) e di personale impiegato (da circa 9.500 a oltre 12 mila uomini). Questo accade in virtù dei nuovi impegni in ambito NATO sul fronte est-europeo in funzione anti-russa, che compensano ampiamente gli effetti della conclusione della missione in Afghanistan.


Oltre alla partecipazione alla forza di reazione ultra-rapida della NATO (VJTF) attivata in funzione di difesa anti-russa – 86 milioni di euro per l’approntamento di 1.350 uomini e relativi mezzi terrestri e aeronavali da combattimento – si registra l’invio di nutriti contingenti dell’Esercito Italiano per la formazione dei Battle Group NATO in Bulgaria (750 uomini, comando italiano) e Ungheria (250 uomini) per un costo totale di quasi 40 milioni di euro e il rinforzo della nostra presenza militare in Lettonia (che sale a 250 uomini) per 30 milioni.

L’altro notevole incremento riguarda le operazioni di difesa aerea anti-russa della NATO a cui partecipano i caccia della nostra Aeronautica Militare che pattugliano i caldissimi cieli della Polonia confinante con l’Ucraina (dopo aver pattugliato quelli della Romania e del Mar Nero) e le aerocisterne e aerei-spia italiane che operano a supporto degli altri caccia NATO. Un incremento di costi (da 33 a 79 milioni e da 2 a 17 milioni) dovuto all’intensificazione delle sortite e quindi dell’aumento delle ore di volo.


E’ invece dovuto all’invio di nuove navi militari della Marina Militare con relativi equipaggi l’incremento del costo (da 17 a 50 milioni) della partecipazione alla missione NATO di pattugliamento navale in funzione anti-russa nel Mediterraneo Orientale e nel Mar Nero, dove incroceranno i nostri cacciamine a supporto delle Marina militare rumena.

Collegato alla guerra in Ucraina e alle tensioni tra NATO e Russia è anche l’incremento del costo della partecipazione alla missione NATO nei Balcani (da 81 a 109 milioni) dovuto preallertamento di un battaglione dell’Esercito Italiano pronto a intervenire nella regione per contrastare tensioni legate alla crisi internazionale est-europea.

Indirettamente legata alla crisi è anche la nuova missione militare in Mozambico (costo 1,2 milioni) a supporto delle forze armate locali che operano in funzione anti-guerriglia nella provincia di Cabo Delgado, teatro di un ribellione – sfruttata da gruppi jihadisti – a seguito della scoperta di mega-giacimenti di gas off-shore strategiche per l’Eni in vista dello stop delle forniture russe.


Restando in Africa, in Mali la missione italiana continua a costare una cifra ingente seppur in diminuzione (da 49 a 35 milioni) nonostante la chiusura dell’operazione anti-jihadista Takuba a guida Francese in seguito alla rottura diplomatica con la giunta golpista di Bamako e il suo progressivo riposizionamento nel vicino Niger, dove infatti si registra per la missione italiana un incremento di costi (da 44 a 62 milioni) e di personale.

In Libia, se da una parte si registra una riduzione dell’operazione nazionale di supporto medico a Misurata – MIASIT, ex Ippocrate – e quindi del suo costo (da 47 a 40 milioni), dall’altra si mantiene consistenza e costo della missione di supporto alla Guardia Costiera e alla Marina libiche (95 milioni) prevedendo anzi un rafforzamento del dispositivo aeronavale. Questo nonostante le mozioni parlamentari che chiedevano al Governo il superamento di questa missione con il trasferimento delle sue funzioni alle missioni europee – che invece rimangono puramente simboliche: la missione europea di assistenza alle frontiere (EU Border Assistance Mission in Libya – EUBAM) conta 5 uomini dall’Italia (per meno di mezzo milione di euro).

Da ultimo l’Iraq, dove è ancora in corso il passaggio di consegne tra la missione anti-Isis a guida USA e quella NATO di cui l’Italia ha assunto il comando: qui il travaso di uomini e mezzi risulta in un incremento dei costi complessivi (da 245 a quasi 300 milioni) in virtù del raddoppio dei mezzi terrestri schierati (da 110 a quasi 200).



Sotto il cappello di chi?

Nove le missioni ‘in ambito’ NATO, ben 13 quelle di Unione Europea e 8 a targa ONU. Le rimanenti 9 (più Gibuti e Golfo Persico, non missioni vere e proprie ma impegni in prevalenza logistici) sono nazionali. Le missioni nell’Alleanza Atlantica coinvolgono 5.447 militari (numero massimo), quasi la metà del totale. Impegni su base nazionale 2.426 militari, ONU 1.266, ‘coalizioni’ 1.250, e UE con 1.151 militari.
La geografia militare italiana: Europa 6.755 militari, 59% del totale a crescere; Asia, 2.984 militari e 26% del totale; Africa, 1.756 militari e 15%.

Le missioni confermate in Europa

La relazione del Governo scrive di 6 missioni dedicate all’Europa ma in realtà l’impegno è decisamente più ampio. Insensatamente o furbescamente descritto in sezione a parte. Kosovo-Nato: non trascurabile presenza sul terreno e una consistente riserva in Italia. 1.573 unità di personale e 106 milioni di costo. Bosnia-Ue: 195 unità con 40 mezzi terrestri e 1 aereo. Il tutto per un costo di 8,7 milioni. Cipro-Onu: 5 militari e 395mila €.


Operazioni aeronavali

‘Sea Guardian’, area Mediterraneo,240 unità, 2 mezzi navali e altrettanti aerei, costo di 11,3 milioni. EUNAVFOR MED Irini: Mediterraneo Libia. 406 unità con un mezzo navale e 2 aerei, spesa di 31,8 milioni. Mediterraneo Sicuro e supporto alla Marina Libica: 826 persone, 6 mezzi navali (1 assegnato all’assistenza della Marina di Tripoli) e 8 aerei. Costo previsto 104,6 milioni.

Sui confini della Nato

«Sorveglianza aerea dello spazio aereo della NATO» personale fino a 45 unità,  3 aerei e 7,5 milioni. ‘Standing Naval Forces’ tra Atlantico/Mare del Nord/ Mar Baltico e Mar Mediterraneo/ Mar Nero. Il personale aumenterà fino a 567 unità, con 5 mezzi navali, 4 aerei e 64,4 milioni di costo. ‘Air Policing/Air Shielding’: 300 unità, 12 mezzi aerei (più 4 terrestri) e un impegno economico di 52,9 milioni.
Vigilanza aerea Sud-Est della Nato (eVA), Slovacchia, Bulgaria, Romania e Ungheria, con una serie di ‘dispositivi ‘pregiati’ (la batteria SAMP/T schierata in Slovacchia). 2.120 persone, 450 mezzi terrestri e 10 aerei, costo 150 milioni. NATO in Lettonia (eFP): 370 persone con 166 mezzi terrestri. Costo 39,6 milioni.

Asia e soprattutto Medio Oriente

Una doppia presenza in Libano. ONU-UNIFIL: 1.169 militari impegnati, 388 mezzi terrestri, 1 navale e 7 aerei. 149,7 milioni di €. Poi addestramento delle Forze Armate Libanesi fino a 190 unità, che potranno disporre di un mezzo navale (quando possibile) e uno aereo, con un fabbisogno di 11,8 milioni di euro. Seminascosta la missione di addestramento delle Forze di sicurezza Palestinesi, 33 militari e un 1,8 milioni. di €.
Iraq. Si comincia con la Coalizione internazionale contro Isis-Daesh, e militari schiarati in Iraq e in Kuwait. Massimo di 1.005 persone, 118 mezzi terrestri e 11 aerei. È la missione più costosa in assoluto, con 241,3 milioni. Più NATO Mission: 225 unità, 100 mezzi terrestri e 4 aerei, 31 milioni di euro. Oltre le ‘Micro missioni’: EUAM, 2 persone, che sarà approvata dal Parlamento quando già finita e 161mila € spesi. Altri 2 militari vestiti Onu, osservatori tra in India e Pakistan.
Mondo arabo: Emirati Arabi Uniti, Kuwait, Qatar e Bahrein, 158 persone, 2 mezzi aerei; e 18,3 milioni. Strait of Hormuz: 200 unità, un mezzo navale e 3 aerei e in 19,7 milioni (la nave Morosini nell’Indo-Pacifico).

L’Africa

Il dato più significativo, sottolinea Giovanni Martinelli, che l’Africa rimane l’area con il maggior numero di missioni: 21 in totale. Dal 1°giugno, tre missioni in meno da approvare post mortem. Presenza molto frammentata salvo Libano e Iraq. Nazioni Unite e bilaterale in Libia: 200 unità, 2 mezzi aerei e costo di 26 milioni. Poi la Tunisia con 15 unità militari di 343mila euro.
Sahel. Fine della nostra partecipazione a 2 missioni al 31 maggio (lapide parlamentare).. Il deterioramento della situazione nel Mali che sta portando a un inevitabile disimpegno, mentre aumenta lo sforzo in Niger con 3 missioni, 500 militari, 100 mezzi terrestri e 5 aerei per 52,9 milioni di euro. E ‘Observers’ in Egitto, 78 militari, 3 mezzi navali e 6,8 milioni.
Corno d’Africa. Missione anti-pirateria EUNAVFOR con 198 unità di personale, 1 mezzo navale e 2 aerei imbarcati e 26,8 milioni in uscita. UE in Somalia, con personale fino a 169 unità, 35 mezzi terrestri e un fabbisogno di 16 milioni, e sigla dopo sigla, EUCAP Somalia, 15 unità militari e 300mila euro. Mentre la United Nations sempre in Somalia chiuderà il 31 maggio.
Missione di addestramento delle forze di polizia somale e gibutiane, dei funzionari yemeniti e delle forze armate gibutiane con 115 unità e 7,3 milioni. Ma lo ‘snodo logistico’ per la nostra presenza nella regione impegna 147 militari, 10 mezzi terrestri, e 12,7 milioni.
Africa varia. «EUTM Mozambico», 15 unità di personale e poco meno di 2 milioni di impegno finanziario. Più consistente il «dispositivo aeronavale di sorveglianza e sicurezza nel Golfo di Guinea» (antipirateria): una nave, 2 mezzi aerei imbarcati, 192 militari e 13,8 milioni.

Oltre alla incomprensibile missione Nato con 7 militari a vigilare su un imprecisato ‘fianco Sud dell’Alleanza’ che nessuno ha voluto o saputo spiegare il dove e il come.



L’«interesse nazionale» non va in missione

Quesito, quale l’«interesse nazionale» oggi in permanenza di Covid e appena agli inizia di una crisi planetaria di cui nessuno è in grado di prevedere dimensioni, sviluppi, e tantomeno rimedi. L’amico Alberto Negri, tra le tante virtù, ha anche quella di andare dritto al punto dolente senza girarci attorno. Ad esempio, politica estera, il sostegno armato italiano all’Egitto che, oltre alla offensiva beffa Regeni, porta avanti una politica di aerea certamente opposta ad alcuni noti interessi nazionali italiani in Libia. E proprio a partire dalla Libia, la critica più dura: «Dopo la Libia 2011, l’Italia avrebbe dovuto ritirarsi per protesta da qualunque missione all’estero. Fatta eccezione per l’Unifil, l’operazione Onu per sorvegliare il cessate il fuoco tra Libano e Israele, che nel 2006 fu uno dei non tanti successi della nostra diplomazia (ministro degli Esteri D’Alema)». Valutazione forse un pochino partigiana, ma non facilmente contestabile.


Ancora e sempre Libia

«Nel 2011 l’iniziativa francese, britannica e americana di colpire Gheddafi ha rappresentato la più grande sconfitta dell’Italia dalla seconda guerra mondiale». Non solo petrolio e gas Eni minacciati e spesso tolti, ma in cambio centinaia di migliaia di migranti in fuga dalla disperazione d’Africa, «influendo sulla destabilizzazione del quadro politico italiano». «Ma l’Italia non poteva neppure protestare perché un mese dopo gli attacchi si è unita alla Nato nei raid contro Gheddafi perdendo ogni credibilità con i partner della Sponda Sud». Domanda finale al veleno: «Quale compensazione abbiamo avuto dalla partecipazione alla missione Nato contro Gheddafi?». Presunti amici ed avversari a minacciare i nostri interessi energetici nel Mediterraneo.  

Erdogan e il rubinetto dei migranti

Questione dei migranti e novità di cui non si sono colti cenni governativi di alcun genere. Erdogan ‘guardiano in conto Unione europea dei flussi migratori sulla rotta balcanica’, adesso, braccio armato di Tripoli, passa a contrattare anche sulla rotta libica? Sempre grazie alla Turchia che in Libia ha usato anche milizie jihadiste, presto dalla rotta libica potrebbero arrivare non solo flussi migratori, avverte Alberto Negri. Confusione strategica. Missione Irini per l’impossibile embargo armi alla Libia che la Turchia Nato viola sfacciatamente. Ieri la Francia ne è uscita gridando. Noi un po’ qui un po’ là. Con Sarraj (ed Erdogan) a Tripoli, ma vendendo armi ai loro nemici egiziani, con cui estraiamo petrolio in mare litigando proprio con Ankara.

Capra e cavoli spesso a perdere

«Alcune di queste missioni non hanno alcun senso, come quella che dura da 19 anni in Afghanistan. Teniamo 800 soldati e una base che non ci servirà a niente soprattutto se gli americani e Kabul faranno l’accordo con i talebani», il categorico Alberto Negri. Per quanto possa valere, Remocontro sottolinea. Dubbi anche sulla “Coalizione per il Sahel”, una missione contro il terrorismo nel Sahel, con la cooperazione di 14 Paesi europei ma al di fuori dell’Unione e legata soprattutto ainteressi di Parigi. Conclusione di Negri. «Detto questo, le missioni all’estero servono anche per fare un po’ di pubblicità alla nostra industria bellica. Corriamo dei rischi con i militari per far un po’ di soldini. Quindi se non è proprio necessario è meglio starsene a casa, così eviteremo di scrivere in futuro articoli grondanti retorica sulle sorti geopolitiche del nostro bellissimo Paese».

Politica estera e Marò

Sempre a proposito di missioni estere o quasi. La vicenda dei due Marò che saranno processati in Italia, salvo pagamento danni all’India. Chi ha vinto, chi ha perso, e la politica di divide, rischiando spesso il ridicolo. Ne abbiamo scritto ieri ma, stando a certe reazioni di rivalsa nazionale, qualche chiarimento forse utile. La sentenza del Tribunale Internazionale di Arbitrato dell’Aja vincola inappellabilmente -nel momento stesso in cui vi accede- i due litiganti al rispetto della sentenza salvo un isolamento internazionale di portata inimmaginabile. Processo in Italia per i due marò, evviva, ma l’imputazione sarà sempre per omicidio, colposo, preterintenzionale, accidentale, o con tutte le attenuanti che possiamo pensare, ma due uomini sono stai uccisi, salvo non valutare come riduttivo rispetto ad eventuali imputazioni il fatto che le vittime fossero pescatori indiani.

Processo italiano doppio rischio

Sarà un tribunale di casa (civile, militare?) a dover decidere la giusta pena per l’incidente con due vittime. Con la giusta comprensione dovuta ai due militari involontariamente coinvolti in una vicenda drammatica certamente strumentalizzata dall’India e molto più grande di loro, ora si deve testimoniare dell’Italia Stato del diritto. Salvo che qualcuno non voglia invocare immunità militari inesistenti per la legge italiana, esempio, i piloti Usa assassini della strage del Cermis, impuniti per privilegio di rango, solo per fare un esempio che ancora ci brucia sulla pelle. Un po’ di sana ragionevolezza anche nelle reazioni di oggi, aiuterà certamente la miglior soluzione per i due nostri amici Marò che già hanno pagato molto in termini personali per quel tragico evento.

  • TUTTO PALESTINA

    TUTTO PALESTINA

    UNA RICOSTRUZIONE COMPLETA DI QUANTO è SUCCESSO IN PALESTINA DAGLI ANTIPODI


  • Proposta Turismo Governo

    Proposta Turismo Governo

    Proposta Al Governo Renzi:Strategie Sviluppo Turistico Italia Relatore e progettista. Salvatore Bulgarella Analisi situazionale Nonostante l’immenso patrimonio artistico culturale, la varietà delle risorse paesaggistiche e gastronomiche, il turismo nel nostro paese stenta  a porsi come motore prioritario dello sviluppo economico e malgrado i significativi incrementi degli ultimi anni, l’Italia si posiziona nel 2016 solo all’ottavo…


  • Occidente Violento

    Occidente Violento


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    Mozambico Paradiso

    Mozambico in Africa Meridionale, la cui estesa costa sull’Oceano Indiano è caratterizzata da popolari spiagge, come quella di Tofo, e da parchi marini in mare aperto. Dell’arcipelago Quirimbas, un gruppo di isole coralline che si estendono per 250 km, fa parte Ibo: Più a sud, nell’arcipelago Bazaruto si trovano meravigliose barriere coralline La capitale è Maputo.…


  • MISIÓN SECTOR PESCA PERU

    MISIÓN SECTOR PESCA PERU

    PRESENTAZIONE PROGETTO STRATEGICO DELLA FILIERA PESCA PERUVIANA, Analisi Mercato Europeo, Commessa da Eurochambres, Governo Peruviano, Al Invest ANALISI MERCATO SEAFOOD EUROPEO SVILUPPATO PER GOVERNO PERUVIANO MISIÓN DE ASISTENCIA TÉCNICA DEL SECTOR PESCA PERU Informe Dott. Salvatore Bulgarella                                                        Experto en estrategia empresarial  Contexto Situacional El sector pesca peruano viene atraversando un favorable momento de crecimiento, subrayado, con un…


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    IL PENSIERO

    L’infinito è immenso e non ha dimensione Ma il pensiero può percorrerlo in un attimo E dargli la forma che vuole Salvatore Bulgarella


  • Nominalismo

    Nominalismo

    L’armonia; e la regolarità rappresentano delle categorie semplici di maniera L’rregolarità invece sottolinea l’inquetudine latente, una verità diversa ma non per questo arbitraria. Salvatore Bulgarella – Visita il Mio Blog


  • Trip Notes (Inside Mozambique1)

    Trip Notes (Inside Mozambique1)

    Il Mozambico è un Paese dell’Africa Meridionale, la cui estesa costa sull’Oceano Indiano è caratterizzata da popolari spiagge, come quella di Tofo, e da parchi marini in mare aperto. Dell’arcipelago Quirimbas, un gruppo di isole coralline che si estendono per 250 km, fa parte Ibo: quest’isola, ricoperta di mangrovie, ospita rovine di epoca coloniale sopravvissute…


  • Mission Libya The Truth

    Mission Libya The Truth

    Il report riguarda, la ricostruzione progressiva delle “ragioni” che hanno portato l’Occidente tramite la Nato, Compresa l’Italia all’aggressione dello stato Libico. Provocando 50 mila morti, ed un paese distrutto. Libia, quando c’era Gheddafi prima del 2008: La Vita familiare di Gheddafi. Qui di seguito nelle foto con la moglie Safia ed i figli: Saif al-Arab,…


  • CURRICULUM CV French

    CURRICULUM  CV French

    Curriculum Vitae Francais  . PDF


  • Wiki Leaks Cablo

    Wiki Leaks Cablo

    Cablo Decriptato relativo alle posizioni del Governo Berlusconi Cablo Decriptato relativo alle posizioni del Vaticano Cablo Relativo al Gas Russo in Ucraina Interruzione 2009 Vaticano Cablo Relativo al governo Italiano. Saragat, Craxy PER CAPIRE. LE GUERRE DI PACIFICAZIONE Già dal 2008 I ragazzi Boy scout dei WAKKARI, giocavano, a guardia e Ladri Nella repubblica di…


  • Wiki Leaks Assange

    Wiki Leaks Assange

    I cablo della diplomazia USA, rivelati da #WikiLeaks 1. Per spiegarvi la questione del folle aumento della spesa militare dell’Italia al 2% del PIL, per cui gli USA hanno fatto pressioni continue e i nostri governi di destra e sinistra hanno resistito a lungo. Userò i cablo della diplomazia USA, 2. sottolineo che i cablo della…


  • Villa Silini Zliten (Libye)

    Villa Silini  Zliten	 (Libye)

    Silin, à quelques kilomètres de Leptis Magna, est une villa maritime avec des fondations à même la plage. Elle a été découverte, parfaitement conservée sous les dunes, en 1974. Avec plus de 20 pièces et de nombreuses mosaïques, c’est une des villas les mieux aménagées d’Afrique du Nord. Les exceptionnelles mosaïques polychromes du IIe s.…


IUGOSLAVIA

La NATO in Jugoslavia: dalla guerra al colpo di Stato

L’intervento Nato si spiegava con l’imperativo di porre fine ad una deliberata campagna di oppressione, pulizia etnica e violenze intrapresa nella regione del Kosovo dal regime jugoslavo contro i propri cittadini di origine albanese.

A Belgrado scoppia la bufera dopo la firma dell’Accordo con la NATO per il passaggio dei suoi militari sul territorio della Serbia e Montenegro. Il settimanale Vreme mette a nudo le strumentalizzazioni politiche su un accordo che a suo tempo aveva firmato anche Milosevic

Il contrasto che è scoppiato due settimane fa, dopo la visita del segretario generale del Patto nord atlantico Jaap de Hop Scheffer a Belgrado, non si è ancora placato. Durante la visita Scheffer si è incontrato separatamente col presidente federale Svetozar Marovic, col presidente della Serbia Boris Tadic, col premier Vojislav Kostunica e col ministro degli esteri Vuk Draskovic. Ovviamente, si è parlato soprattutto del generale latitante Ratko Mladic la cui l’assenza è tuttora di ostacolo per l’ingresso della SCG (Serbia e Montenegro, ndt.) nella Partnership per la pace e nella NATO. Nella stessa occasione Draskovic e Scheffer hanno firmato un accordo con il quale si permette ai soldati della NATO la libera circolazione sulle strade della Serbia, prima di tutto nel caso ci siano dei seri disordini in Kosovo. Ma, mentre per alcuni un tale accordo rappresenta un passo in più verso l’integrazione della SCG nella più forte alleanza militare, per gli altri rappresenta un atto di tradimento, o quantomeno una violazione della procedura e dell’autorizzazione del ministro federale. Il blocco patriotico, con a capo il Partito radicale serbo, ha già iniziato la procedura per la revoca di Draskovic, con l’appoggio dei socialisti che minacciano il rovesciamento del governo se il ministro non dovesse essere sostituito. E mentre Draskovic e il ministro della difesa Prvoslav Davinic cercano costantemente di spiegare i lati positivi dell’accordo, il Governo non mostra alcuna intenzione di difenderli; anzi, dalle dichiarazioni di alcuni ministri si potrebbe concludere che siano inclini ad essere d’accordo con i patrioti. Sebbene per adesso non ci siano segni che il Governo si stia preparando ad annullare l’accordo, sembra che Draskovic per l’ennesima volta si sia trovato in un vortice politico, al centro di un affaire pompato e, stando agli indizi, montato.

Nonostante l’accordo sia stato firmato il 18 luglio, c’era bisogno che passassero alcuni giorni per sollevare la bufera. E’ successo soltanto quando alcuni giornali belgradesi hanno iniziato a pubblicare alcune parti dell’accordo, spesso accompagnate da libere interpretazioni e da una forte dose di sensazionalismo. Ciò che è risultato più evidente per una parte dell’opinione pubblica locale sono le disposizioni secondo le quali i soldati della NATO possono, senza pagare, usare le strade, le ferrovie e gli aeroporti sul territorio della SCG; che non saranno sottoposti ai controlli doganali e di polizia; e infine, che godranno dell’immunità rispetto agli organi della polizia locale e degli organi legali, il che vuol dire, per esempio, che se provocassero un incidente stradale, non potranno essere messi in prigione né i tribunali della SCG potranno fargli un processo.

Cosa ci faranno

La stampa del boulevard (tabloid, ndt.), che durante la siccità estiva è sempre assetata di scandali e di affaire, non ha esitato un attimo a qualificare l’accordo “vergognoso”, persino traditore, con sensuali descrizioni sulla prepotenza alla quale si stanno preparando i soldati della NATO, in modo impunibile, nei confronti della popolazione impotente. La deputata della SCG Gordana Pop-Lazic ha previsto che “In Serbia presto passeggeranno i soldati della NATO senza uniformi, ma con le armi, che potranno ucciderci dietro ogni angolo”. Alcuni si sono “ricordati” che la motivazione per i bombardamenti nel 1999 era il rifiuto della nostra delegazione di firmare l’accordo di Ramboullet, apparentemente proprio perché vi erano contenute alcune decisioni simili all’accordo firmato da Draskovic (Milosevic nella sua difesa all’Aia ha sottolineato spesso che l’accettazione di tali condizioni avrebbe significato concedere un’occupazione della Serbia). Invano il vice del ministro della difesa Pavle Jankovic ha spiegato che i soldati della NATO dovranno annunciare ogni loro passaggio sul territorio della SCG, e che la decisione sull’immunità non li proteggerà dal fatto che nei loro Paesi potranno essere processati per i crimini che eventualmente commetteranno qua: la parola “tradimento”, per l’ennesima volta messa in circolazione, di nuovo ha diviso l’opinione pubblica in patrioti e gli altri, spostando la discussione oltre i limiti della buona educazione e della sanità mentale.

L’opinione pubblica, invece, è stata maggiormente confusa dalle reazioni del Governo, che per l’ennesima volta si è mostrato non informato. Dopo le reazioni sommesse sotto forma di dichiarazioni che di questo accordo sono venuti a conoscenza solo a firma avvenuta, il Governo in modo categorico ha smentito di aver mai deciso sull’accordo: “Nessun ministero, né il Ministero della giustizia, né il Ministero delle finanza né il Ministero degli affari interni, ha fornito un parere positivo sull’accordo con la NATO, né ha visto la versione definitiva di tale accordo”, ha detto il 22 luglio Srdjan Djuric, il capo dell’Ufficio del Governo per la collaborazione con i media. Il ministro Davinic, invece, ha affermato il contrario: “La bozza dell’accordo è stata inviata ai ministeri competenti dei due stati membri della federazione statale, dunque alla Serbia e al Montenegro, al Ministero della giustizia, al Ministero delle finanze e alla Dogana, visto che si trattava di alcuni privilegi dell’immunità coi quali tali ministeri debbono essere d’accordo. Sono state ricevute anche le risposte positive da parte di tali ministeri. In base a ciò il Ministero degli esteri ha proposto di approvare la piattaforma per le trattative con la NATO”, ha detto Davinic. Dal gabinetto di Draskovic è arrivata una nota per rammentare che il giorno dopo la firma dell’accordo, alla riunione dedicata alla situazione del Kosovo, Marovic, Tadic, Kostunica e il presidente del Centro di coordinamento Nebojsa Covic hanno appoggiato l’accordo. Il Governo ha smentito anche questo, lo stesso ha fatto anche Covic, che all’inizio affermava come Draskovic avesse violato la procedura, per dire poi che il capo della diplomazia della SCG “è una vittima politica di qualcuno”.

Documenti segreti canadesi svelano come gli Usa innescarono la guerra in Bosnia

BOSNIA DOCUMENTI SEGRETI

AFGHANISTAN NARCO DECLASSIFICATI

Documenti declassificati dell’intelligence statunitense descrivono la storia dei talebani con il commercio illecito di stupefacenti

24 GENNAIO 2023tag: 

Afghanistan , 

DNSA , 

FOIA , 

Talebani

di Burkelly Hermann

Il 13 gennaio di quest’anno, Hasibullah Ahmadi, capo del dipartimento antidroga del ministero dell’Interno dell’Afghanistan, ha affermato che il traffico di droga dal paese è diminuito, ma ha ammesso che questo commercio illecito continua in alcune province. Questi commenti sollevano la questione dei legami dei talebani con il mercato dei narcotici e dei precedenti tentativi di frenare la produzione di droga. I documenti declassificati presenti nel post di oggi, tutti rilasciati ai sensi del Freedom of Information Act (FOIA), sono una selezione della nuova collezione Digital National Security Archive, Afghanistan War and the United States, 1998-2017 , pubblicata nel dicembre dello scorso anno. I tre documenti esaminati in questo post descrivono in dettaglio i legami dei talebani con le reti di trafficanti internazionali alla fine degli anni ’90 e i tentativi di regolamentare il mercato nei primi anni 2000 nel tentativo di ingraziarsi la comunità internazionale. Nel loro insieme, i documenti descrivono i legami dei talebani con i piani del traffico di droga e come i divieti sui papaveri, anche quando efficaci, hanno giovato finanziariamente ai talebani e ai consorzi di traffico associati. 

Con l’emergere del primo movimento talebano, dal 1994 al 1996, la produzione di stupefacenti è salita alle stelle in Afghanistan, con documenti declassificati che affermano che il gruppo si è allineato con i trafficanti di droga internazionali. Ci sono state indicazioni da parte di funzionari statunitensi che la produzione di stupefacenti nel paese è aumentata in modo significativo in seguito al controllo dei talebani su vaste aree del paese. In una stima segreta dell’intelligence nazionale (NIE) del maggio 2001 ora declassificata, l’Ufficio del direttore dell’intelligence nazionale ha sottolineato che nel 2000 il paese forniva circa il 72% dell'”oppio illecito” mondiale. Questo documento pesantemente redatto includeva una mappa che indicava le aree di coltivazione del papavero da oppio in Afghanistan (pagina 26) e un grafico che mostrava l’aumento della coltivazione di oppio tra il 1991 e il 2000. Il NIE ha notato che i produttori in Afghanistan erano passati a fornire e produrre più eroina per diversi anni prima 2001. 

Questa analisi è stata rafforzata da un documento di ricerca della CIA Top Secret del dicembre 1998, ora declassificato, preparato dal Direttore del Central Intelligence (DCI) Crime and Intelligence Center, e recentemente rilasciato ai sensi del FOIA al National Security Archive. Questo rapporto Top Secret pesantemente rimossodescrive in dettaglio l’esplosione del mercato dei narcotici sotto il dominio talebano, rilevando i legami del gruppo con Quetta Alliance, un giro internazionale di traffico di droga, che condivideva legami con Osama bin Laden. Inoltre, questo rapporto afferma che il crescente ruolo dei talebani nel paese ha fatto esplodere il business dei narcotici. Il documento valuta anche il coinvolgimento del gruppo nel traffico illecito di stupefacenti, affermando che esso comprendeva i massimi leader talebani e che questo commercio si è intensificato “negli ultimi anni”, portando a immensi profitti per l’organizzazione fondamentalista. In particolare, il DCI Crime and Intelligence Center afferma che i fornitori di stupefacenti afgani si erano spostati verso i mercati internazionali, oltre a distribuire ai trafficanti di droga in Turchia. Il documento sottolinea che i combattenti talebani hanno fornito “supporto logistico” e “protezione” per il traffico di droga e laboratori all’interno del paese. Più significativamente, il documento sostiene che i talebani hanno forgiato legami con l’Alleanza di Quetta, un importante gruppo di trafficanti regionali e sponsor terroristico di Osama bin Laden.

Questo articolo non era il solo a descrivere l’Alleanza di Quetta. Un rapporto pubblicamente disponibile dell’agosto 1994, compilato dalla Divisione Intelligence della Drug Enforcement Administration (DEA), descrive l’Alleanza di Quetta come un’alleanza tra tre potenti gruppi di trafficanti che operano a Quetta, all’interno della provincia pakistana del Baluchistan. Il rapporto della DEA affermava che questa libera alleanza era basata su legami familiari e descriveva l’operazione come “simile a un grande consorzio di produzione o di servizi”. Ciò si collegava all’affermazione contenuta nel suddetto documento del DCI Crime and Intelligence Center, che sosteneva che una volta che l’Alleanza di Quetta fosse diventata il gruppo di narcotraffico dominante nel sud dell’Afghanistan, avesse fornito sostegno finanziario e reclutamento ai fiorenti talebani.

Alla fine del 1999, i talebani avevano vietato la coltivazione del papavero. Questo sarebbe seguito da un divieto di coltivazione e traffico di oppio nel luglio 2000, quest’ultimo in un editto del leader talebano Mullah Omar. Tuttavia, questi divieti non hanno interferito con il traffico e la vendita di oppio o papavero. Un cablogramma segreto declassificato del luglio 2001 della Defense Intelligence Agency (DIA) affermava che, sebbene il divieto fosse principalmente efficace, aumentava comunque sostanzialmente le entrate dei talebani dal traffico illecito di droga. Il divieto ha seguito le risoluzioni 1267 e 1333 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, rispettivamente nel 1999 e nel 2000, che condannava “il significativo aumento della produzione illecita di oppio” e chiedeva che i talebani si adoperassero per “eliminare virtualmente la coltivazione illecita del papavero da oppio”. Successivamente, il cablogramma della DIA rileva che i talebani probabilmente hanno soppesato il riconoscimento da parte della comunità internazionale rispetto ai propri interessi quando hanno considerato un’estensione del divieto. 

Questo cablogramma DIA ora declassificato affermava inoltre che mentre il divieto dei talebani avrebbe probabilmente ridotto la produzione mondiale di oppio di almeno il 50%, il divieto ha portato al quadruplicamento del prezzo afghano di oppio, morfina base ed eroina, che in precedenza erano record bassi. Il cablogramma afferma esplicitamente che un anno dopo il divieto i talebani beneficiavano ancora sostanzialmente dei proventi della droga, “… principalmente dalle tasse sul continuo traffico di stupefacenti e dalle scorte di stupefacenti di proprietà dei talebani, il cui valore è aumentato notevolmente”. Il cablogramma della DIA rileva inoltre che il divieto probabilmente non avrebbe avuto un impatto sugli Stati Uniti nei prossimi mesi, poiché le sue principali fonti di eroina provenivano dal sud-est asiatico e dall’America Latina. Mentre i talebani non hanno mai dovuto soppesare i propri interessi nell’estendere il divieto dovuto agli Stati Uniti 

Per ulteriori documenti sui talebani, vedere i numerosi manuali dell’Archivio, incluso il post del 23 settembre 2021, ” Documenti appena pubblicati mettono in dubbio le affermazioni che i talebani rinunceranno ad al Qaeda “. 

Gli ettari coltivati a papavero da oppio e il programma di eradicazioni in Afghanistan dal 1998-2014 (World Drug Report Unodc 2015)

L’Ufficio dell’Onu per la droga e il crimine (Unodc) ha stimato per il 2016 una produzione di 4.800 tonnellate di oppio, ammettendo sia «sottostimata sulla base dell’altezza e della densità delle piante osservata dai satelliti», malgrado ciò comunque quasi il doppio (+43%) delle 3.300 tonnellate dell’anno precedente. È aumentato inoltre il rendimento medio delle colture: dai 26,3 chilogrammi di oppio per ettaro del 2013, ai 28,7 chilogrammi del 2014. Di conseguenza, sempre per il 2016, l’Unodc stima una crescita del 30%, grazie alle «favorevoli condizioni climatiche» [14]. Le già inefficaci eradicazioni sono del resto calate nel 2016 del 91%, con appena 355 ettari distrutti. Ufficialmente per le difficili condizioni di sicurezza: 8 morti e 7 feriti nella campagna di eradicazione 2016, con 5 vittime e 18 persone colpite nell’annata precedente [15]. La verità sembra però essere un’altra, ben più scomoda. La chiariva anche un comunicato radio del comando della missione Nato, rivolto alla popolazione di quella provincia: «Stimato popolo dell’Helmand, i soldati dell’Isaf non distruggono i campi di papavero perché sanno che molti in Afghanistan non hanno alternative alla coltivazione del papavero. L’Isaf non vuole sottrarre alla popolazione i mezzi necessari per sostentarsi» [16]. Nel 2010, l’assistente strategico del generale americano Stanley McChrystal dirà la stessa identica cosa ai contadini del distretto di Majrah, formalmente parte di quello di Nad Ali nella provincia sud-occidentale di Helmand, appena riconquistato dai Marines americani dopo una grande offensiva militare: «Non distruggeremo le piantagioni di papavero, perché non possiamo colpire la fonte di sussistenza della popolazione di cui vogliamo conquistare la fiducia» [17]. Lo stesso presidente Karzai nel 2004 rigettò la proposta internazionale di fermare la produzione di oppio attraverso lo spargimento aereo di erbicidi chimici, spiegando che questa coltivazione costituiva l’unica fonte di sostentamento per larga parte degli afghani.

Per Barnett Rubin, consulente del governo Usa per l’Afghanistan, «quando il segretario alla Difesa Donald Rumsfeld incontra in Afghanistan personaggi noti come narcotrafficanti, il messaggio che lancia è chiaro: aiutateci a combattere i talebani e nessuno interferirà con i vostri business» [8]. La connivenza degli Stati Uniti e della Nato con i signori della droga afghani prosegue anche dopo l’arrivo di Barak Obama alla Casa Bianca, ma con una rettifica. La nuova amministrazione decide di abbandonare l’imbarazzante linea, seguita fino a quel momento, di assoluto disinteresse al problema oppio, in favore di un intervento “selettivo” volto a colpire solamente i signori della droga legati ai talebani, ma – badate bene – solo quelli, perché con i narcos “amici” si continua invece a chiudere un occhio. Nell’agosto del 2009 un quotidiano statunitense annuncia che il Pentagono ha stilato una lista nera comprendente una cinquantina di narcotrafficanti afghani da catturare o da uccidere: «Non tutti i trafficanti, ma solo quelli che sostengono l’insurrezione e che con essa hanno legami certi» [9]. In Afghanistan la Cia e la Dea sono nuovamente in conflitto di interessi, peraltro con l’antidroga statunitense tra il 2001 e il 2003 con soli 2 agenti sul posto, saliti a 13 dopo il 2004.

Impero Americano

1. In geopolitica, non esiste niente di più americano delle basi militari degli Stati Uniti all’estero. Compongono una rete immensa , ai quattro angoli del pianeta,

le basi sono l’espressione più manifesta della natura imperiale del primato degli Stati Uniti.

Il modo di acquisire le installazioni, il terreno su cui erigerle o il diritto di accedervi si pone inoltre in continuità con il breve ma denso momento coloniale della storia americana.

Normalmente, le basi più grandi appartengono al dipartimento della Difesa (Corea del Sud, Giappone, Germania, Italia), oppure sorgono nei territori d’oltremare degli Stati Uniti (Guam, Porto Rico). In altri casi, la sovranità resta al paese ospite con cui Washington ha negoziato una concessione per un lasso di tempo determinato oppure il diritto ad accedervi all’occorrenza (Thailandia, Australia, Filippine, Islanda). In altri ancora, le Forze armate non acquartierano stabilmente un’unità militare all’estero, ma ne fanno ruotare diverse per non dare l’impressione di uno schieramento fisso – si tratta insomma di una presenza stanziale mobile (Polonia, paesi baltici). Tutte queste distinzioni hanno senso dal punto di vista geopolitico?

Dalla seconda Guerra mondiale, gli americani non hanno più lasciato la massa bicontinentale. Impegnati come sono da 80 anni a questa parte ad assicurarsi a soffocare qualsiasi tentativo di Indipendenza e a controllare  i revisionismi cinese, russo e iraniano.  il mondo delle basi americane si estende su  89 paesi o territori non indipendenti, poco meno della metà degli Stati del pianeta. Se si uniscono quelli su cui sorgono le installazioni più rilevanti, si ottiene una collana di perle che cinge l’Eurasia. Questa linea non esaurisce affatto la presenza militare americana: non tocca per esempio l’aeroporto di U-Tapao in Thailandia dove i velivoli statunitensi fanno scalo centinaia di volte l’anno; neanche Camp Bondsteel in Kosovo, che può acquartierare fino a 7 mila soldati (ora ce ne sono circa 600); e nemmeno la Polonia, caso da manuale di presenza mobile fissa, con i suoi 18 siti cui gli americani hanno accesso. La collana di perle attraversa snodi insostituibili, strategici, dove l’impronta statunitense è più salda. Plastica dimostrazione del contenimento dell’Eurasia.

Procedendo da est verso ovest, si parte da Guam, essenziale rampa di lancio per proiettarsi velocemente in Estremo Oriente e al contempo stare (non si sa ancora per quanto) al riparo dal fuoco cinese. Si sbarca poi in Giappone, primo pae­se per militari statunitensi, circa 55 mila, con le sue megabasi a Okinawa e la sede della VII Flotta a Yokosuka, le principali di oltre 121 siti. L’unico approdo continentale in Asia orientale, la Corea del Sud, ospita invece 28 mila soldati concentrati a Camp Humphreys, la più grande base statunitense all’estero. 

La scelta di Singapore è motivata da tutto fuorché dai numeri: benché priva di un grosso contingente, dalla città Stato si controlla lo Stretto di Malacca, uno dei più importanti colli di bottiglia marittimi, essenziale per arginare la Cina; qui ha sede un comando logistico della VII Flotta dopo la chiusura di Subic nelle Filippine, anche in virtù della base navale di Changi, una delle poche al mondo in grado di gestire le oltre 100 mila tonnellate di una portaerei a stelle e strisce. Si procede quindi verso la già citata Diego Garcia, per arrivare a Camp Lemonnier a Gibuti, dove si coordinano le operazioni sia nel Corno d’Africa sia sulla Penisola Araba – e si subisce la marcatura dei cinesi a Bāb al-Mandab.


Nel Golfo, invece, sono tre i principali appoggi statunitensi: al-‘Udayd in Qatar, quartier generale locale del Comando per il Medio Oriente (Centcom) e centro di controllo aereo di tutta la regione; Manama in Bahrein, sede della V Flotta deputata a vegliare sulle rotte marittime; e il Kuwait tutto, affollata guarnigione dell’Esercito con 16 mila soldati e 2.200 mezzi corazzati divisi fra Camp Buehring, Camp Arifjan e Camp Patriot. Si prosegue poi in Turchia, con la stazione radar dello scudo antimissile della Nato a Kürecik e la base aerea di İncirlik, dove sono collocate circa 50 testate nucleari. Si sbarca infine in Europa(carta

1). L’Italia mette a disposizione basi essenziali per proiettarsi in Africa e Medio Oriente, da Aviano a Sigonella, dalla quale partono missioni di bombardamento verso la Libia, senza dimenticare il sistema di comunicazione satellitare Muos di Niscemi. La Germania è il perno della presenza militare americana nel Vecchio Continente, seconda al mondo per numero di militari (almeno 36 mila) e prima per installazioni (almeno 194); qui hanno sede il Comando per l’Europa, la più grande base dell’Esercito nel Vecchio Mondo (Wiesbaden, controlla almeno 20 mila soldati) e il gigantesco scalo di Ramstein. Toccato il Regno Unito, essenziale per gli snodi aerei, si chiude con la Groenlandia, dove sorge la base più a nord del globo, Thule, che irradia le comunicazioni nel pianeta e scruta che dall’Artico non provengano missili.

Comune denominatore dei paesi lungo la collana di perle: la ridotta sovranità di fronte all’imperio americano. Vuoi per uno squilibrio incalcolabile nei rapporti di forza, evidente nel caso dei territori non indipendenti (Guam, Diego Garcia, Groenlandia), degli staterelli tali solo sulla carta (Gibuti e Singapore) e delle petromonarchie arabe passate da un protettore (i britannici) all’altro (gli americani). Oppure per condizioni storiche, dai reietti della seconda guerra mondiale (Italia, Germania e Giappone) agli imperi decaduti (Turchia e Regno Unito).

Note e Credits

1. Cfr. A. Krepinevich, R. Work, «A New Defense Posture for the Second Transoceanic Era», Center for Strategic and Budgetary Assessment, 2007, cap. VI.

2. Cit. in D. Immerwahr, How to Hide an Empire: A Short History of the Greater United States, 2019, Vintage Publishing, p. 13.

3. D. Vine, Base Nation: How U.S. Military Bases Abroad Harm America and The World, New York 2015, Metropolitan Books.

4. DOD Dictionary of Military and Associated Terms, novembre 2019, p. 23.

5. A.T. Mahan, The Influence of Sea Power Upon History, 1660-1783, Boston 1890, Little, Brown and Company, p. 82.

6. Cfr. D. Vine, Island of Shame: The Secret History of the U.S. Military Base on Diego Garcia, Princeton 2009, Princeton University Press.

7. H.S. Truman, «Radio Report to the American People on the Potsdam Conference», 9/8/1945, disponibile al sito bit.ly/2PJukyC.

8. Discorso tenuto al Reagan National Defense Forum il 7/12/2019, disponibile al sito bit.ly/2sm1Tin

9.  «U.S. National Survey of Defense Attitudes on Behalf of The Ronald Reagan Foundation», Beacon Research, Shaw & Company Research, condotto il 24-30/10/2019, p. 7, bit.ly/2RVQqkb

10. F. Petroni, «I proconsoli dell’America», Limes, «Stati profondi, gli abissi del potere», n. 8/2018, pp. 169-179.

11. D. Gillison, N. Turse, M. Syed, «The Network: Leaked Data Reveals How the U.S. Trains Vast Numbers of Foreign Soldiers and Police with Little Oversight», The Intercept, 13/7/2016.

12. LIMES ” Impero Americano