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1) Uomo che parlava con le stelle 1-58

PROLOGO

L’Uomo

che Parlava

con le Stelle

Salvatore Bulgarella

TITOLO

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stampato in UK

Dedica

Caro Dario,

Il racconto che ho in testa, vorrebbe essere una trasposizione dei miei neuroni profondi su un foglio di carta bianca. Macchiandola di tanto in tanto con immagini al presente, al futuro o a quando non si sa. Intrecciando momenti che nella mia testa sono coerenti ma di difficile rappresentazione, nella progressione di una lettura “normale”.  Non mi riesce facile intercalare i chiaroscuri di diverso spessore e trasparenza, e renderli immediatamente comprensibili al lettore.  Comprendo che mi sono imbarcato in una navigazione tempestosa, quasi uno Tsunami. Inoltre tenuto conto, che nella mia testa ho già impresso oltre 400 pagine, mi ritrovo nella confusione a rimetterli tutti insieme ed in progressione. Questa che ti mando è appena la premessa strutturale delle situazioni. Mentre solo molto più avanti, emergeranno situazioni e soluzioni che consentiranno di dare al costrutto una lettura più lineare e comprensibile. Confesso non è una narrazione regolare o logica anzi, ma vorrei accompagnare il lettore verso percorsi diversi. Coinvolgendolo in una visione complessiva che supera la logica, per sconfinare nelle brume o nei bagliori accecanti, che poi poco a poco ti conducono gioiosamente a viaggiare insieme alle stelle. Scritta d’impulso, la presente stesura ha anche moltissime imperfezioni ortografiche evidenti, anche perché, come sai, sono abituato a scrivere aggiungendo la punteggiatura alla fine tutta insieme: -Cosa in più cosa in meno – quindi ho già fatto uno sforzo di pazienza immane, ad usarla nelle interiezioni e nei fraseggi. Il racconto continua ancora in un intreccio di situazioni emotive, dove i personaggi presentati, cominciano ad assumere una significanza compiuta, ma mai definita o definitiva, avvolti in una rete virtuale che da un certo momento li avviluppa tutti come in un bioccolo primordiale. Lo sto scrivendo per me. Ed io sono così. Grazie  

1 PROLOGO

 Pensiero diverso

La dimensione di quanto ci circonda è fatta prevalentemente di vuoti, che noi tentiamo di colmare per avere un contenitore stabile dove poggiare le nostre fragili sensazioni. A volte li chiamiamo ricordi; ma i ricordi non sono il passato, vivono sempre al presente ogni volta che li richiamiamo o all’occasione si presentano da soli. Apriamo il cassetto ed ecco appaiono, a volte quasi sfocati in una nebbia fittissima e facciamo quasi fatica a riconoscerli, A volte invece ci sono evidenti subito. Anche quando non vorremmo. Fanno parte della nostra storia. Si, i ricordi fanno parte della nostra vita sempre, anche quando tentiamo di ignorarli, di riporli più in basso, di cancellarli, ci sono sempre e vivono con noi. Rimangono radicati ostinatamente alla nostra pelle, alla nostra anima. Ci sembrano episodi, senza un costrutto, sciolti, senza nesso; ed invece non c’è un prima e un dopo, ma siamo sempre noi; i ricordi anzi rendono la storia della nostra vita una evidenza attuale, in cui emerge costantemente il senso della incompiutezza, legato all’ostinato rifiuto dell’essere, cosi come appariamo o come ci fanno apparire. Lo svelamento della vera natura di ciò che è più intimo per ciascuno di noi, richiede uno sforzo immane, e magari potrebbe rappresentarsi invece come un trascurabile dettaglio.

2 Verso i vicoli

La Sicilia non è un luogo, ma una mistura di luoghi dove convivono un insieme di altri luoghi, che a loro volta ne contengono innumerevoli altri. Dove ciascun individuo finalmente colloca la propria bandiera. Diviene un territorio frammentato dove in ogni casella ciascuno imprime le proprie impronte distintive, le proprie abitudini, anche la religione, ed il linguaggio a volte. Il modo di vivere, e di sopravvivere di cucinare e ragionare. Quindi non dite mai ad un Siciliano,” Ma come è la Sicilia” ti guarderebbe strano e sempre ti risponderebbe. Dove?  Si incamminava, in una giornata di scirocco, nei vicoli di un paesino deserto dell’interno dell’agrigentino, il vento lo soffocava sommergendolo di polvere africana che gli si appiccicava addosso come talco di pomice. Cercava un barbiere, ma in giro non c’era anima viva, solo serrande deteriorate, finalmente da lontano scorse una insegna slavata, dipinta a mano.”[1] Varveri Salassi, Cavatore di denti“. Non sapeva se sentirsi fortunato o no, però aveva una barba da due giorni e doveva rasarsi a tutti i costi. La porta riparata, mimetizzata da una tenda di plastica sfrangiata a protezione delle zanzare, ma forse anche dei volatili, era socchiusa; con qualche esitazione entrai. L’ambiente era tetro illuminato da due lampadine ingiallite dal tempo. Fu avvolto subito da un odore olezzante di sudore antico e di muffa; la poltrona da barbiere era una sedia di legno e paglia bassa, a fronte di uno specchio frantumato e arrugginito. Stava per uscire quando una voce profonda e ferma gli disse, <[2]Si accomodasse.> non era un invito, era un ordine. Non lo vide subito ma stava dietro di se e con le mani ferme sulle spalle lo collocò direttamente sulla sedia. Dallo specchio scorse la figura di un uomo con baffi antichi e capelli impomatati, di età incerta sulla sessantina. Vestiva una divisa a righe lisa e sporca di grassi vegetali. Si rassicurò, che stavo seduto alla sua altezza e dopo averlo bloccato con uno sguardo indagatore, profondo quasi assassino, immerse un pennello sfrangiato in un contenitore di rame da dove riemerse con una schiuma liquida grigiastra. Con decisione lo spalmò sul suo viso con gesti veloci e sguaiati. L’impiastro appiccicoso tentava di rimanere incollato disperatamente sulla sua pelle, ma invece colava da tutti i lati lasciando righe umide fuligginose, che gocciolavano giù fino al suo collo. Si allontanò per un momento ma non ci fu il tempo per scapparmene, ritornò sciabolando un rasoio vintage, molto vintage, con una lama simile ad una baionetta. Agguantò il suo viso con una mano e con l’altra, con un movimento circolare fece transumare il rasoio da una basetta all’altra.

Tutta la sua pelle tentava con uno sforzo immane di resistere, ed ogni pelo del suo volto strapazzato ed asportato uno ad uno, urlava con la voce stridula di un agnello al macello.

Poi si fermò un attimo a guardare il risultato, e con la lama che sfiorava quasi la sua gola gli chiese minaccioso” com’è, faccio bene???” “[3]Lei Facissi Bono A Canciare Mestiere” rispose alzandosi finalmente con uno strappo deciso, sfuggendo alla sua morsa e senza nemmeno pulirmi il volto dalla schiuma. Si incamminai di nuovo per i vicoli contorti del paesino. Ancora tremava per lo scampato pericolo, quando una voce gli disse, Ruggero svegliati è ora di andare a scuola.

 Ogni mattina la voce che lo svegliava era come un incubo, tentava di attorcigliarsi fra le lenzuola fingendo di non aver sentito, che avesse frainteso. Però sapeva che comunque doveva alzarsi. Che doveva abbandonare le sue escursioni notturne, le sue luci scintillanti, i suoi compagni di viaggio, le immagini splendenti che lo accoglievano in dimore sempre amiche. L’unico luogo dove si sentiva veramente a casa.

Ruggero, quando decideva di prendersi una pausa, andava a pescare; sceglieva solo le notti quando il mare era più calmo, ed il cielo limpido lasciava vedere le stelle in trasparenza. Dirigeva la minuscola barca mettendo la prua nel viale di luce argentata tracciato dalla luna piena, e quando era completamente abbagliato dai suoi riflessi, lasciava scivolare senza fretta le reti in mare per cominciare una pesca, che forse poi non gli interessava così tanto. Poi si sdraiava nella piccola area di poppa, socchiudendo gli occhi come un lumicino, tentando di contare le stelle. Una, due, tre, quattro, mille; continuava senza sosta per trovare quelle più lontane, sempre più lontano, fino a quando realizzava che non stava contando le stelle ma stava cercando una stella. Una stella speciale con la quale in quelle notti aveva stabilito un rapporto singolare. Non era la più scintillante, ma alla fine la trovava sempre per uno singolare bagliore dorato che emetteva e per la particolare attrazione che sentiva verso quella luce, che accogliendo il suo sguardo, diveniva sempre più splendente ed intrigante. Succedeva sempre così, e non lo deludevano mai. Immaginava, che scivolando arrampicandosi su un filo di seta, come un ascensore, un giorno potesse salire e scendere da quella stella. Era un desiderio che diveniva a volte una necessità incombente; come una nostalgia che lo invitava a ritornare in un luogo che riteneva familiare. Si lasciava cullare dal ritmo lento delle onde, che appena prima dell’alba divengono come una carezza, fino a quanto sentiva il suo corpo come librarsi nel vuoto. Leggerissimo oltrepassava lo spazio, incuneandosi fra le stelle più lontane e dopo un tempo infinito giungeva in un luogo che riconosceva. Non c’era niente di determinato tutto era come impalpabile, diffuso in una atmosfera che virava sul rosa cristallino, almeno fino a dove giungeva lo sguardo. I suoi occhi si spostavano come per cercare qualcosa ricorrente nei suoi ricordi. Stava quasi per ricominciare a flirtare quando, una voce insistente, come una sciabolata, troncò di netto il suo viaggio <Ruggero svegliati è ora di andare a scuola, è tardissimo>. Finalmente si svegliava intorpidito ma con gli occhi spalancati, pieni di riflessi argentati ed allo sguardo interrogativo della madre quasi arrossiva di imbarazzo.  Quasi vergognandosi di essere stato scoperto a fare qualcosa di proibito.  Che era poi semplicemente sognare. Platone scriveva, che l’umanità era divisa fra quelli che pensavano con il lato sinistro del cervello, e quelli che pensavano con il lato destro. Il lato Sinistro è rappresentato dai sensitivi razionali, il lato Destro dai sensitivi percettivi. Succede così, che se ad una persona del primo tipo accade qualcosa di piacevole, magari gli piace immediatamente, però subito dopo prevale la ragione e quindi comincia a chiedersi, ma che significa? perché proprio a me? ma che senso ha? ma che cosa è? ma dove porta? Quelli che usano il lato sinistro, invece dicono Uhm che bello, che profumo, che bella sensazione e se la godono. Vivono cioè le emozioni quasi senza ragione, lasciandosi prendere da esse, incamerandole, emozionandosi. Insomma, si lasciano eccitare da quello che succede, ritenendosi privilegiati di potere vivere, sentire ed assaporare emozioni avulse da qualsiasi contesto; passato, presente e futuro. I primi poi si distinguono per il – Prima, il Durante ed il Dopo – di una relazione anche occasionale. E ad ogni condizione l’atteggiamento muta completamente. Nella prima fase del rapporto i protagonisti sono forse anche molto avventurosi, nel durante, tentano di vivere in maniera positiva l’altra persona. Nel Dopo, passato qualche tempo, cominciano a lasciarsi prendere dalla ragione; al punto magari, paradossalmente, che mentre stanno facendo l’amore, visivamente eccitati pensano, guardando la parete di fronte, “domani devo pagare il mutuo, non devo fare tardi in ufficio, come mi vesto per il compleanno di Francesca, che trucco uso per la cena di Gianni”. E subito dopo scivolano fuori dal letto magari dicendo, “lasciami andare devo preparare la colazione”. Con un sorriso ormai tiepido. Non bisogna mai giudicare né criticare questi atteggiamenti, perché dipendono esclusivamente dal modo di essere di ciascuno, da come sono stati programmati e da come si sono vissuti. A volte però una influenza determinante è data dal caso. Pe esempio se sono nato, per caso, in un paese musulmano pregherò Allah e riterrò normale che il mio sposo abbia altre mogli con cui condivide il talamo. Se sono invece nato, per caso, in una comunità Cristiana adorerò Cristo, e riterrò normale la monogamia rigida. Ognuno di noi è una molecola dell’universo, che come una foglia giunge portata dal vento in un contesto, senza averlo potuto scegliere e si comporta di conseguenza, ritenendosi con convinzione nel giusto. E sarà fervente, Cristiano, Musulmano, Induista. A volte anche criticando gli altri, che solo per una casualità sono nati in altri contesti. “Io credo che l’universo.”, pensava Ruggero, “anzi non credo in nulla, perché già sento i rumori della porta di quella che sta arrivando per dirmi che devo andare a scuola e che è tardi”. Ed allora caro amico mio, renditi conto che le libertà sono limitate, ed individuali. Scrutava con gli occhi, al limite della stanchezza, questo paesaggio familiare ma impenetrabile che lo sovrastava, quando un’onda lunga scosse l’imbarcazione svegliandolo di soprassalto. Era ormai l’alba, sul mare si spandeva una luce singolare, dorata come distinta in frammenti di diamanti, che senza violenza rischiarava i contorni delle isole la vicino e delle onde del mare, che si increspavano con piccoli ricci sgargianti. Ancora in dormiveglia tirò con lentezza le reti ricolme di pesce, ancora vivo, che si muovevano agili per liberarsi e come sempre aiutò le prede a fuggire. Liberò anche una piccola [4]cicalina sperduta, incagliata nelle maglie, che lo guardò spaventata, ma quando fu libera si girò quasi per ringraziare. Soddisfatto, osservò tutti i pesci ritornare a vivere nel mare, che lo salutavano come sempre con piccoli tuffi di gioia nell’aria. Osservò il cielo che albeggiava e cominciò a rientrare con calma dirigendo il suo piccolo vascello verso terra. TòTòTò risuonava il piccolo motore che pulsava regolare nel silenzio. TòTòTò faceva eco, mentre le onde si aprivano dolcemente lasciando una piccola scia a poppa, TòTòTò. L’alba cominciò con dolcezza ad impadronirsi della notte; appropinquandosi alla costa si cominciavano a scorgere contorni confusi di strutture irregolari, appiccicate maldestramente, su quella che doveva essere un tempo una baia incantevole.  Nel passato i visitatori dovevano godere di una vista straordinaria giungendo dal mare; da un altro mare o da un’altra terra. Approdò nella parte più isolata del porticciolo peschereccio, ma come sempre ancora prima di scendere si avvicinavano uomini, che con occhi rapaci cercavano sul ponte della barca qualche preda sfinita. <Non è stata una buona pesca> diceva, fingendosi irritato e poi da pescatore antico si mostrava occupato a sistemare le cime, o buttando qualche secchiata d’acqua distrattamente sulle reti distese a poppa. Gli avventori con fastidio se ne andavano volgendogli le spalle. Finalmente ormeggiò in mezzo ad altre due piccole barche locali. Era certamente a terra quando una luce gioiosa lo avvolse, brillando dietro il campanile della chiesa madre, inviandogli messaggi di benvenuto, quasi ad indicargli la strada di casa. Si incamminò verso il suo rifugio, con in testa ancora una visione soffusa della notte e la luce che si attorcigliava negli occhi intrigante, che lo accompagnò fino alla piazzetta lastricata di pietre antiche del porto grande, quando si sentì chiamare per nome insistentemente. Erano i suoi amici seduti al bar del porto, per la prima rimpatriata mattutina. Seduti, come accampati attorno un tavolino già colmo di cornetti, caffè, birra a profusione, insieme ad altre specialità locali, che non mancavano mai. Gli fecero posto ordinandogli un caffè, che non si rifiuta mai. Li osservava mentre degustava un caffè arabico ancora fumante, Erano pressoché coetanei, con interessi e mestieri diversi. Discutevano di calcio e di politica insieme, come fa tutta la gente normalmente, ogni tanto lo interrogavano senza aspettarsi una risposta,

La schiuma del caffè nella tazza disegnava dei ghirigori, delle forme che gli ricordavano ancora il viaggio della notte. Non era un’ossessione, era un desiderio. Per uno che riteneva di avere tutto, questo bisogno lo assillava più che incuriosire. Aveva letto parecchio, tentando di studiare qualcosa sulle stelle: il moto, la dimensione, la velocità, ma il suo non era un interesse scientifico, voleva sapere, conoscere di più, aveva bisogno di altre notizie più circostanziate. Capire perché quel luogo così lontano potesse essergli cosi familiare. Parlavano ancora di calcio ed adesso di donne, mentre i suoi pensieri si scomponevano dietro la prima bruma del mattino. Nelle discussioni fra uomini, le donne non devono mancare mai. Fanno scenario come le quinte di un teatro, <[5]Miiii sto frequentando a unaaa, per ora un tu [6]pozzu riri comè, bianca, biunna, un culu accussi marrooo. minni fazzu quattru ogni vota> Ognuno sciorina, con orgoglio, naturalmente i propri record e sono tutti soddisfatti. Quando si alzarono tutti insieme, gli lasciarono il conto da pagare e mestamente si avviarono al loro triste lavoro. Il cameriere gli portò il conto e con gli occhi lo interrogava; “ma perché paga sempre lei” voleva dirmi, poi velocemente gli dava il resto che lo lasciava come mancia, come sempre. Dopo la doccia naturalmente la barba, un rito che ripeteva ogni volta con calma e destrezza, “[7]un coppu cà un coppù dda e finiu” si lasciava una tonnellata di schiuma addosso, che quasi lo costringeva a rifare la doccia. Si pettinava i capelli riccioluti, ancora umidi, senza guardarsi allo specchio, aveva paura di sentire l’età in maniera evidente. Le amiche dicevano “ma come stai bene”” ma erano proprio amiche, amiche, amiche buone e timorate da Dio. Ma lui era dentro che non stava bene. In quella cittadina eternamente borghese, così lontana da tutto, da tutte le cose che aveva condiviso con amore. Un luogo piccolo, piccolo ma col pregio di essere vivibile, di avere il mare sotto casa, i profumi della campagna, un mangiare ancora decente. Un luogo dove potevi scoprire degli alimenti naturali, ancora per poco forse. Però un luogo troppo minuscolo per un comandante di vascelli imperiali, che aveva visitato più volte gli universi. E per questo che non amava frequentare molto gli amici, e tantomeno gli estranei, sembrava un misogino, ma nessuno sapeva invece come era differente. E per questo che si rifugiava nelle stelle, appena possibile, soffriva quando non poteva farlo e quel luogo aveva ancora un cielo terso la notte, che gli consentiva veramente di ritrovare, dopo un poco, le stelle che amava e cominciare una chiacchierata naturale. Non usava tecnologie speciali per farlo, solo gli occhi, anche perché lui parlava con le stelle in simbiosi empatica. Erano loro che lo venivano a trovare ogni volta, mentre quando lui le cercava ostinatamente, e credeva di essere ormai di casa non le trovava mai. Alla fine invece loro, le stelle, una ad una si presentavano vicino, per farsi osservare, ammirare, amare. Però lui non si lasciava sempre distrarre da quell’incanto, da quella profferta generosa accecante, nella sua testa lui cercava una stella ed una sola. Anche se solo qualche volta era riuscito a scorgerne i contorni, ancora non era riuscito veramente a possederla, non riusciva a percepirne le dimensioni, i colori e profumi, rimaneva là, lontana anche quando riusciva ad esserle molto prossimo. Aveva un modo speciale per raggiungerla senza molta fatica, si rifugiava nei ricordi dell’infanzia, nelle favole, ad osservare quando dopo una tempesta, il cielo ritornava la notte luminoso e sfolgorante di stelle. La prima volta che la vide e sentì dentro che era quella, la riconobbe subito, non era la più splendente, ma aveva un riflesso speciale, che immediatamente ti abbagliava, ma poi come tutte le cose buone permetteva di farsi ammirare. Il cuore quasi gli scoppiava, ogni volta che il tremolio della luce lasciava intravedere qualche particolare, così come ti succede con una donna, che ti appare nell’ombra e che poi si trasforma nella luce della luna. Ma poi scompariva subito, Le altre stelle per qualche tempo la coprivano; a volte stava una notte intera ad aspettare di rivederla. E poi arrivava l’alba. Aveva perso molto interesse per la vita “normale”, il quotidiano lo sfiorava ma non lo viveva. Piuttosto sperimentava come fare, anche di giorno, ad avere un rapporto visivo con le stelle, ma anche con strumenti professionali non era la stessa cosa. Era come mangiare un buon cannolo siciliano raccontato da altri. Era per questo che, rientrato nella terra natia dopo molto tempo, si inventò il mestiere di pescatore, questo gli permetteva di rimanere solo nella notte, di spostarsi dalle luci della città verso un cielo più limpido e trasparente.

Usciva pressoché ogni notte, anche d’inverno, ma era d’estate che provava delle sensazioni più intense e percepiva la presenza di quello che stava cercando. Naturalmente solo in mezzo al mare gli accadevano certe cose strane, ma che non l’impaurivano. Era quasi normale, che grossi cetacei gli veleggiassero vicino quasi per tenergli compagnia, non li vedeva subito, li avvertiva quando si immergevano, giocando a rimpiattino e rispuntavano quasi con un salto fra le onde argentate. Non potevano mancare i delfini. Anzi i delfini erano la costante, i suoi nuovi amici. Lo aspettavano all’uscita del porto, minuto più minuto meno, e poi lo accompagnavano, anzi lo guidavano dove lui potesse avere una visione migliore. Loro sapevano esattamente cosa stava cercando.

A volte lo guidavano direttamente alla meta; a volte gli facevano visitare tutti i piccoli fari sparsi, come cavalieri del passato lungo la costa. E con pazienza gli spiegavano minuziosamente il significato ed il linguaggio di quei testimoni silenti del tempo.

“Cumpà, stai attento se fa tre lampi veloci significa che è “Alberico”; e quando lo vedi da lontano lo riconosci subito e capisci che la ci sono le secche di scogli. >; poi lo portavano su “Pompilio”. <Qua devi stare proprio attento, perché a volte funziona ma quasi sempre no. Prudenza. Quindi in ultimo gli facevano compagnia mentre vigilavano fino al suo ritorno nel porto.

“Saluti e baci ed andavano via scodinzolando”.

2.1 San Giovanni

 Le campane di S. Giovanni lo svegliarono presto come ogni mattina, un rintocco armonioso e prolungato, erano già le sette. Da qualche tempo gli era giunto dalle persiane sgangherate il brusio acuto dei venditori sulla strada. Ruggero tentava di riaccucciarsi sotto le lenzuola, tentando di riprendere il sonno interrotto, ma non c’era verso; il giovane campanaro amava esibirsi ogni mattina con concerti prolungati.  Quindi, fece una veloce colazione con yogurt greco e caffe ristretto, una doccia infinita regolarmente ghiacciata, da brivido. Indossò pantaloni e camiciola del giorno prima, si guardò allo specchio, apprezzò che era abbastanza trasandato e scese le scale velocemente, sperando di non incontrare la signora Giovanna, che gli chiedeva sempre di salutarle Zia Maria, che era morta da qualche secolo. In strada si sentiva già meglio. Volti conosciuti, sempre gli stessi, un saluto veloce “ciao Cumpà”, altri che discutevano animatamente, i commercianti che aprivano le serrande metalliche con un rumore di ferraglie, che sembrava un treno merci arrugginito. Salutò anche Peppino l’arrotino e si avviò come sempre in fondo alla piazzetta, verso la enorme insegna Federiciana all’angolo della vetrina. “Granite di gelso tutti i giorni, anche per natale pensava lui. A quell’ora il bar molto piccolo era sempre affollato. Gianni era al banco fra tazzine da lavare e caffè ristretti fumanti. Non si fermava mai, agguantava i soldi con una mano e con l’altra già incartava un panino con le panelle.

 Quando ebbe un attimo di respiro si avvicinò con un caffè bollente super ristretto. La chiamava “tazza sporca”, un dolcino fatto in casa e dopo una pacca sulla spalla, da lottatore di Sumo, gli disse quasi per scusarsi: “Sono ancora molto impegnato, ne avrò per una mezzora; rimani qua sto preparando una leccornia con le mele e le fragole di mia nonna, poi usciamo”,

<Tranquillo il tempo ce l’abbiamo>

<Si l’abbiamo ma tu sei sempre di corsa>

<Hai visto Angela ti voleva parlare?>, Aggiunse come un avvertimento e si allontanò prima che Ruggero potesse rispondere. Angela, Angela, ma quanti Angeli aveva conosciuto in vita sua, dall’oratorio ai club ecologici, che ogni tanto frequentava per capire a che punto era la civiltà del benessere. Ma sapeva bene a quale Angela si riferiva, aveva negli occhi il suo sguardo scaltro e determinato. Giornalista delle cronache locali, denunciava tutto. Senza ritegno, dalla macchina posteggiata nel parcheggio degli invalidi, al vescovo con la villa al mare, a tutti i notabili locali che si atteggiavano a potenti. Infine i politici tutti: di destra, di sinistra di centro, erano sempre tutti sotto torchio, naturalmente lo stipendio non era sufficiente per pagare gli avvocati. Tentò di ricordare l’ultima volta che l’aveva vista; era un convegno sulla mafia, dove intervenne, naturalmente con foga estrema, descrivendo con perizia i momenti e le opportunità che lasciavano praterie libere alla malavita di ogni tipo. < E se succede tutto questo la colpa è solamente nostra, la cosiddetta borghesia pulita, che però non partecipa mai, ma che si guarda il film seduta comodamente in poltrona> Qualche applauso di prammatica e via. Un giorno si fermò con lui che era molto agitata e gli disse <Ruggero stammi vicino, sto preparando una inchiesta pesante>. Gli fece segno con le dita, per accentuarne la importanza dell’argomento, ma anche per raccomandarsi di non parlarne con nessuno. <Si certamente era molto preoccupata si disse non l’aveva vista mai così sfuggente e preoccupata. > Tentò di saperne di più, ma sempre lei lo stoppava, girando lo sguardo e spostandosi di lato, quasi per andarsene.  Si irrigidì quando dal marciapiede opposto, scortato dalla polizia se ne andava il politico locale di riferimento il “-Notaro”. Da sempre presente nelle competizioni politiche locali, da sempre vincitore, da sempre criticato di soppiatto da tutti, da sempre l’eroe della politica locale. Si sussurravano molte storie nelle discussioni estive in spiaggia, Però quando ti avvicinavi al gruppetto sotto l’ombrellone, di colpo cambiavano discorso. Certamente c’era più che reverenza di paese, un diffuso timore fra la gente tutta.  Fra le altre cose si spettegolava anche di un rapporto speciale, che ancora teneva con una minorenne e che conoscevano tutti.  Tutti ne parlavano, ma nessuno con argomenti concreti per una denuncia pubblica; anzi. Il Notaro, come lo chiamavano, sembrava non curarsene, sorrideva sempre abbracciava tutti sulla strada, ma i più intimi dicevano che in privato era molto severo, molto diverso, un cane di mannara. Ruggero rimase molto pensieroso, Angela; dietro la sua apparente determinazione era una donna molto fragile, che a discapito della sua avvenenza viveva da sola, aiutando la madre ammalata da un decennio. Avrebbe voluto assisterla di più, ma lei faceva del tutto per scansarlo, tutte le volte che ci tentava. Indugiò un attimo ancora a rimuginare, ma poi il brusio del viavai del locale lo riportò sulla terra. Osservava tutti mentre il bar cominciava a svuotarsi. In particolare una signora cinquantenne che stava sorbendo il suo cappuccino al pistacchio, come ogni mattina, vestita decorosamente con scarpe di qualità occhiali a mezz’asta ed il giornale locale, che leggeva con attenzione. Aveva provato a parlarle, la incuriosiva. Ma lei sempre gli dava picche con mezze frasi conclusive. Doveva essere vedova benestante, senza figli o con figli moderni. Sicuramente avevano tentato di metterla in un ospizio, ma lei, di carattere forte, avrà risposto <andateci voi>. Di tanto in tanto dava un’occhiata in giro nel locale per rassicurarsi di non essere rimasta sola, poi ritornava ad immergersi nelle cronache rosa e di tutti i colori. Gianni lo raggiunse poco dopo e gli regalò subito un sorriso per scusarsi, < Ho finito finalmente, oggi c’è stato il cambio della guardia in capitaneria e c’era un sacco di gente nuova>

<Dove andiamo?> chiedeva ma lui aveva già in testa dove [8]trastuliare. E Ruggero era sempre d’accordo sul trastuliare. <Andiamo a trastuliare> Come sempre voleva andare in giro per liberare la mente di tutte le comande e le [9]camurrie dei clienti, “mi mette un po’ di cioccolata in più; è troppo freddo o è troppo caldo” lui sapeva sempre accontentare tutti, senza mai essere servile. Si avviarono lentamente verso la strada principale, il corso grande, come lo chiamavano i locali. Le vetrine erano già scintillanti delle proposte primaverili, e così ne visitarono parecchie, disordinando tutti gli scaffali, fino a quando Gianni non scelse una camicia semi firmata, a righe azzurre che si lascò addosso. Quando uscirono, Ruggero affrontò l’amico fermandosi d’un tratto sul marciapiede. <Per un poco non ci vedremo>, E subito dopo aggiunse in maniera seriosa, <Ho deciso di prendermi una pausa>.

<Ne hai assolutamente bisogno Cumpà>

Quindi gli spiegò che voleva ritemprarsi dentro e fuori. Il mare lo aveva rifocillato e curato moltissimo; stava bene anche con la testa ma voleva vedere altre cose, altre persone altri profumi, aveva bisogno di buttarsi ancora dentro nelle cose. Ed il suo pensiero si diresse subito all’Africa. Un continente che aveva percorso in lungo ed i largo per lavoro, e che ogni volta di più lo affascinava. Aveva il Mal d’Africa? Certamente sì, un po’ di più che una saudade, un vero e proprio vuoto quando gli stava lontano per troppo tempo. Ed adesso era più di un anno che gli mancava. Lasciava scivolare le parole quasi con sofferenza o forse con una speranza intima nascosta che non voleva fare intravedere: forse era superstizioso o forse molto realista. <Andrò a Parigi a trovare Francesco non lo vedo da quasi un anno, sto bene con lui e con Renèe, mi viziano senza chiedermi mai niente, è come un rifugio, sto bene mi rilascio e trovo poi il tempo per decidere senza spingere >

<Francesco è un grande amico e ti vuole molto bene aggiunse, ma nn più di me Cumpà> Aggiunse Gianni lo lasciò parlare ancora delle cose che già sapeva, conoscendo qualsiasi recesso dentro il pensiero complesso del suo amico, lo lasciò parlare senza interromperlo. Ruggero conosceva a memoria quello che aveva, quello che gli mancava, quello che cercava ed era cosciente che non c’erano molte soluzioni. Sapeva anche che delle sue fughe ricorrenti, Francesco era sempre la prima tappa e faceva bene perché oltre essere una persona saggia era un amico all’antica, colto e di poche parole, mai un [10]cuttigghiu. Tutto quello che gli mancava lo aveva rifiutato negli ultimi tempi con protervia, quasi con cattiveria, un’autopunizione. Non sapeva quale senso di colpa fra i tanti che giravano nel suo DNA stava vincendo in questo momento, però certamente aveva bisogno di andare via per qualche tempo di togliere la spina. Ruggero fingeva guardare le scarpe esposte, ma invece attraverso il vetro stava osservando gli astanti seduti al circolo dei potenti di fronte, e là incontrò lo sguardo del Notaro. L’onorevole stava discutendo animosamente con l’avvocato Perulli, entrambi con giacca e cravatta come per andare insieme al matrimonio. I potenti non li vedevi mai con un jeans sdrucito. Notò che il Notaro aveva stranamente un filo di barba crespa evidente, aveva fatto sicuramente una nottataccia, O una nottatina con la minorenne, ogni tanto anche Ruggero [11]cuttigghiava nella sua testa. Ma era dovuto succedere qualcosa di più importante, perché la discussione si faceva sempre più animata e continuò fino a quando il Notaro si alzò di colpo senza salutare e si diresse nella sua auto blu posteggiata in zona abusiva. L’avvocato rimase un poco come frastornato o impaurito e quindi poi riparò al circolo come in cerca di un rifugio. Senza avere una ragione Ruggero collegò la discussione appena vista a qualcosa che gli aveva detto Angela. Ma non aveva alcun elemento per verificarlo, quindi chiese a Gianni se conoscesse bene l’avvocato Perulli.  Gianni si arrestò di colpo e poi a voce bassa gli disse, <Ruggero qua in paese, tu lo sai, ci conosciamo tutti, però poi non conosciamo niente di nessuno> Si aggiustò i pantaloni caduti e continuò <Quel circolo è dannato si decide tutto e non si decide niente, però se hai bisogno di qualcosa devi essere ben visto la dentro, e se te li metti contro ti conviene cambiare paese subito> < Non ti sembra di essere troppo drastico?>interloquì Ruggero fingendosi sorpreso.

<No, la dentro si decidono molte cose di qua, ma anche di fuori di qua> e poi soggiunse quasi sottovoce, guardandolo negli occhi, <La dentro non c’è solo la politica, c’è molto di più; ci sono una massa di cornuti consapevoli, ci sono compari, ci sono gente indebitata fino all’ultimo capello, c’è la nobiltà decaduta, c’è la mafia>.

< L’avvocato Perulli è il mestolo sporco per rimestare tutte queste salse> Ma non solo. <Ruggero lo sai, cosa c’è più potente della mafia da noi?>. Lo stava ascoltando con attenzione estrema, fingendo stupore ma invece voleva avere conferma da un altro punto di vista, di quello che già lui aveva conosceva profondamente. Lasciò ancora una volta che Gianni si ricomponesse del tutto e poi cambiò completamente discorso, chiedendogli quando si sposava <Sto mettendo insieme i soldi per arredare la casa, ma credo che a maggio finalmente ci sposiamo, Naturalmente tu sarai il testimone di nozze, Ovunque tu sia devi esserci>

<Ci sarò senz’altro. Basta che me lo dici in tempo, e non come fai sempre, dopo che succede> lo rassicurò. Ed il problema era proprio esserci pensava Ruggero, lui che non amava programmare mai nulla, doveva proprio esserci. Si separarono all’angolo della Piazza e Ruggero approfittò per richiamare Angela. Lo aveva preso come un senso di irrequietezza e quindi la chiamò subito. Non rispose e gli lasciò un messaggio in segreteria di richiamarla. Non aveva capito ciò che la turbava ma certamente doveva esserci attinenza col Notaro ed il Circolo Sociale. Un gioco pericoloso e complesso pensava. Continuò a cercarla chiedendo anche agli amici comuni tutto il pomeriggio ma senza successo. Capitava spesso che divenisse irreperibile dalla famiglia, ma soprattutto dal lavoro, presa dallo studio voleva a tutti i costi prendere un Master in giornalismo, era vorticosa specialmente col lavoro. Quando aveva un pensiero fisso per la testa doveva risolverlo. Sicuramente era ancora in redazione della Tv locale, scavando negli archivi per recuperare altre informazioni sul Notaro ed i suoi amici. La rivide l’indomani era seduta nel bar di Gianni, e si rasserenò occupava un tavolo appartato pieno di scartoffie come sempre sorbendo un Martini. Gli fece cenno di avvicinarsi e notò che era ancora inquieta. < So che mi hai cercata disse, scusa che non ti ho chiamato ma sono stata presa da mille cose>

<Tutte più importanti di me?>

< Ti cercavo anch’io stamattina e sapevo che prima o poi saresti venuto da Gianni> Diceva sempre così quando era in confusione, quasi con un senso di colpa. Ruggero rimase in silenzio assorto e poi dopo avere assaporato un’altra goccia di Martini la lasciò continuare; <Sta succedendo qualcosa in città di grosso ma non ho tutti i dati per lavorarci sopra> fece un’altra pausa e riprese <Conosci l’avvocato Perulli, il cognato del Notaro? Ci vorrei parlare ma presto. > Si fermò ancora spettando una conferma da Ruggero che non arrivò. <Angela ti devi calmare un pochino non puoi fare la guerra ai mulini a vento e da sola>.

<Ma non sono mulini a vento sono tutte persone tangibili che stanno in mezzo a noi, che ci sporcano, è questo che non capisci>

<Don Chisciotte aveva il Palafreniere Sancho; tu non hai nessuno, nemmeno io che posso aiutarti, non ci sto con la testa> lei lo guardò quasi sorridendo, sapeva perfettamente che avrebbe detto qualcosa del genere.  <Ruggero tu non puoi aiutarmi, nessuno può aiutarmi, nemmeno io posso aiutarmi, almeno fino a quando non ho risolto quello che ho per la testa, ma stammi vicino anche senza parlare, io riesco ad ascoltarti e come sai sei l’unico che ascolto> Si girò dall’altra parte, fingendo di guardare i cannoli in bella vista, ma era solo per non mostrare tutta la sua rabbia e forse disperazione. <Perché stai così sotto al Notaro? Lo sanno tutti che è un poco di buono, ma poi tutto finisce nel nulla e viene sempre eletto a pieni voti. Ha il rispetto di tutti i notabili della società, e nessuno osa metterlo in castigo >.

<Io ci riuscirò prima o poi>

<Ma in questa città spesso conviene guardare da un’altra parte, quando ti conviene, o diventi complice, o ti scansano, o diventi il nemico da eliminare.> Angela non rispose, fingendo di gustare sistemarsi i capelli, mentre Ruggero guardava la gente entrare ed uscire senza fretta dal locale, ed un poverello che chiedeva la questua davanti alla porta. Porgeva la mano che veniva scansata sgarbatamente dagli astanti, mentre il ragioniere Ristuccia che era sempre la a quell’ora, a fare da anfitrione; tentava di nascondere la panza e la dentiera che gli ballava in bocca, alzando la voce per darsi importanza riempiendo il locale con i suoi latrati. <Filippo che piacere incontrarti qui, posso offrirti un caffè, però ti prego prendi anche un cornetto alla crema. qua sono buonissimi> Ed al giungere di un altro gruppetto sfaccendato, ricominciava con impeto <siete tutti miei ospiti stamattina. Ma che ci siamo dati appuntamento! a favorire>. E come sempre tutti, ma anche i conoscenti per caso, ma anche gli estranei, favorivano abbondantemente. <Gianni fa delle cose buonissime> diceva mostrando con le mani la mercanzia per accentuarne la qualità, e poi il ragioniere velocemente, per non farsi anticipare, “ma nessuno ci pensava”, si spostava alla cassa.  <Diciotto euro ok; ecco qua, questi sono 20, con una lauta mancia per i ragazzi, non prendo resto.> ripeteva in maniera plateale, riponendo nella tasca posteriore dei pantaloni una mazzetta di banconote, che sembrava avesse ritirato poco prima da un bancomat. Il poverello stava ancora là, quando il ragioniere usciva soddisfatto, ma nemmeno lo guardava. Si accorsero che stavano osservando insieme la stessa scena, ma non fecero commenti; Angela doveva andare via per un appuntamento col suo redattore e si alzò velocemente salutandolo. Come sempre si lasciavano dandosi appuntamento a chissà quando, senza mai portare a conclusione nessun argomento. Ruggero rimase ancora un poco a pensare al Notaro, non aveva nulla di personale contro di lui. Quanti Notari c’erano stati in quella città, forse anche più puzzolenti. Questo però, sentiva che non era solo un faccendiere ma qualcosa di più e di peggio. Era come i resti di un pranzo andato a male, conservato sotto il letto. Per il poco che l’aveva frequentato, provava solo un’antipatia a pelle, aveva sempre le mani sudaticce e non ti guardava mai negli occhi. Faceva il bravaccio con i sottomessi, ma poi diventava un codardo con i suoi capi. Lo aveva notato, in specie, con qualche personaggio “inteso” locale e qualche politico nazionale, che per ragioni diverse ospitava nella sua fastosa villa al mare. Non gli garbava anche perché c’era sempre qualcosa che gli sfuggiva.

Quando tornò a casa era già tardi, non aveva comprato niente per pranzo e non aveva voglia di cucinare. Scoprì sullo scaffale un barattolo aperto di tonno di tonnara, lo distese abbondante su una fetta di pane integrale abbrustolito, un pomodorino un po’ d’olio di nocellara, spolverò con pepe che aveva portato dall’ultima escursione in India, ed infine soddisfatto della composizione lo assaggiò per sentirne il profumo. Poi, si stiracchiò sul divano con un calice di bianco locale continuò a piccoli bocconi a mangiare, mentre tonnellate di molliche disegnavano ghirigori scarlatti sulla sua camicia.  Non seguiva quasi mai i programmi televisivi, ma per farsi compagnia accese la vecchia Tv, cambiando canale fino a quando giunse sulla cronaca locale. Solite cose. Sembrava copia incolla “deja vu”, ormai il Web ed i Social avevano reso le cronache televisive obsolete, già digerite, ma lo colpi l’immagine ferma di un volto in primo piano, il commentatore e la sua voce agitata, descrivevano la scoperta del corpo di un noto commercialista del capoluogo. Dott. Del Prete, cugino di un Noto Politico del luogo; Dott. Alvaro De Marzio, Notaio. Il cronista poi si soffermò sulle cause del decesso. Il rinvenimento è avvenuto alle nove di stamattina, scoperto dalla donna di servizio, che come d’abitudine, arrivava sempre puntuale, di primo mattino per le pulizie.

<Gli inquirenti ritengono, che le modalità del ritrovamento potrebbero far pensare ad un suicidio>. La moglie Claudia, ed i figli che erano in vacanza, sarebbero rientrati nel pomeriggio; il commentatore continuò con una breve descrizione del CV del professionista, mentre sullo schermo scorreva un altro ritratto a colori che lo ritraeva al mare, spensierato con la famiglia, Infine precisò che il caso sarebbe stato seguito dalla troupe televisiva passo a passo. Quindi invitò gli ascoltatori a non perdere le successive edizioni del TG. La notizia, per il profilo del personaggio, era certamente più che un fatto di cronaca; nemmeno lui pensava al suicidio, aveva conosciuto il commercialista personalmente, molto arrogante facendosi forte del rapporto parentale col Notaro. Professionalmente abbastanza apprezzato, con attività che spaziavano dagli incarichi pubblici alla finanza internazionale, con studio anche a Londra, nella City. Stava cambiando canale, collegandosi su un’altra rete locale, quando giunse la telefonata puntuale di Angela.

<Hai sentito>, attaccò con voce agitata, <del cugino del Notaro; ne parlavamo stamattina, mi ci gioco tutto che non è un suicidio o una morte accidentale>. Poi proseguì più calma.  <Il gioco che sospettavo è cominciato anche prima di quanto immaginavo, sto passando a prenderti, fatti trovare giù> e riattaccò. Ruggero trovò a fatica le scarpe cadute sotto il divano, si riassettò un pochino e scese velocemente per la scala, senza nemmeno salutare la signora che già si era affacciata per commentare. <[12]U sintiu chi successe> Angela non lo fece aspettare molto; arrivò con la sua mini bicolore, bloccò le ruote con un piccolo stridore di gomme, quindi aprì velocemente lo sportelo e quando Ruggero fu dentro ripartì veloce. <Adesso mi spieghi cosa sta succedendo> attaccò Ruggero, lei non rispose, dirigendosi in periferia fino a parcheggiare in un angolo deserto di un campeggio. <Non ho niente da spiegare, non so nulla di certo, solo supposizioni.>

<Bene, cominciamo dalle supposizioni> disse Ruggero palesemente preoccupato. <Mi pare che sei maestra in questo gioco, e che spesso hai piacere a nascondermi le cose che sai. Per capire bisogna conoscere e sei tu quella che sai, al momento> Angela si ricompose, distendendosi sul sedile come per rilassarsi sistemando la gonna. E cominciò con una voce accorata. <Tu sai che sto indagando su quelli del circolo da tempo, ho scoperto cose che vanno al di là delle dicerie. Intrecci strani finanziari fra diversi personaggi del circolo: intrecci di donne e di uomini, di donne e donne, di uomini ed uomini, e minorenni; non solo le solite amanti, ma molto più. Non ti posso dire altro perché mi mancano le prove. >

<Ma devi spiegarmi i fatti Angela, non ho bisogno di prove>

<E’ difficile, è una situazione molto complessa, però sono vicina, solo che è una matassa ingarbugliatissima è per questo che mi devi aiutare, dobbiamo dipanare la matassa insieme>

<Ma come posso aiutarti se mi lasci all’oscuro di tutto> Urlò Ruggero.

<Non è vero, poco a poco quando avrò le idee chiare ti presenterò tutto il gomitolo ed è in questo momento che mi devi aiutare, tu cominci dalla parte di fuori ed io lavoro con in nodi all’interno.> Ed infine sconsolata si girò verso Ruggero, e con un tono quasi riservato gli disse< Non posso pubblicare supposizioni: tienitelo per te ma mi sta aiutando un giovane poliziotto dei servizi, che sta indagando professionalmente all’insaputa dei superiori. >

<Spero che sia la persona giusta, ma stai prudente> Guardava ogni tanto fuori dal finestrino come impaurita <Non si fida di nessuno e nemmeno io mi fido di nessuno>

<Molto bene, ma comunque sii super prudente, in questa storia ancora non si è capito chi sono i buoni ed i cattivi>

<Questo suicidio ce lo aspettavamo e non finisce, qui è solo la punta dell’Iceberg di cose molto più complesse e pericolose, ci sono in ballo molti soldi, molte situazioni, molti misteri>. Fece una pausa quasi conclusiva e poi aggiunse <non volevo parlartene per non metterti a rischio, il gioco si fa sempre più pericoloso e tu sei molto imprudente> aggiustò di nuovo la gonna e tacque in maniera conclusiva. Ruggero si girò a guardare verso la strada dal finestrino umido e appannato. Stavano lì già da qualche tempo e adesso nella piazzola si scorgevano solo ombre; ebbe come un tremito nella schiena, mentre rifletteva su quanto appena riferito da Angela. Da giorni immaginava che nel suo comportamento ci fosse qualcosa di strano; le assenze, le pause, i sotterfugi accentuavano questa sua sensazione. Però non pensava che fosse coinvolta fino a questo punto. Certamente dentro il circolo succedeva qualcosa ambigua e non solo da ora; qualcosa di equivoco per essere benpensanti, ma anche per l’insieme di intrallazzi, che proliferavano sotto gli occhi di tutti. Sembrava che in quella cittadina poggiata sul mediterraneo, di tanto in tanto calasse come una foschia, una nebbia umida e densa che sommergeva tutto.  Gli abitanti si muovevano senza forma ed a volte senza tempo, quasi fantasmi, e da un certo tempo sembrava possibile, ammissibile, che qualsiasi cosa fosse giustificata. Qualsiasi comportamento. I fantasmi si incontravano quasi danzando d’improvviso, come se facessero parte di un rituale comune, deciso dal caso. Comunicavano a gesti e con gli occhi scintillanti di riflessi verdastri. Indicavano la vittima senza mai profferire parola e decidevano la condanna definitiva. La vittima poteva essere un uomo o una donna, un giovane ma anche un anziano, un estraneo ma anche un congiunto. Non era scelta a caso, dietro ci stava sempre una ragione. Una logica perversa a volte o utilitaristica, che sempre suscitava in cadauno come una intima soddisfazione. Il rituale si concludeva di colpo, ma sempre accadeva qualcosa di cruento: poi la nebbia d’un tratto svaniva e ritornava la luce che lasciava intravedere i contorni netti e accoglienti di un luogo normale. Sorridente, accogliente, cordiale. Da quando succedeva tutto questo? Come non aveva capito che la sua amica si era inserita in questo gioco a rischio fino a quel punto? Pericoloso, molto pericoloso. Inoltre l’arrivo in scena dell’investigatore non prometteva niente di buono. Perché un poliziotto faceva una indagine privata insieme a lei? Per simpatia, per innamoramento, perché condivideva le sue idee? Certamente il commercialista non era stata una persona trasparente, ma perché arrivare fino al suicidio? Non le chiese nulla, rimase ancora a rimuginare ed infine le chiese di accompagnarla a casa. Lei senza profferire parola, visibilmente agitata, ingranò la retromarcia e si inserì nel traffico di periferia, ogni tanto guardava nel retrovisore come per rassicurarsi di non essere seguita; nell’aria c’era una tensione palpabile. Infine Ruggero dopo un lungo respiro disse con voce calma

 <Stasera ho deciso di uscire a pescare>.

<Buon per te, peccato che soffra il mar di mare>

<È il periodo delle lampughe, tieni il telefono sempre sottomano, fermati all’angolo per favore, faccio due passi>. Lei annuì senza guardarlo, era come se gli sfuggisse nei momenti, quando magari aveva più bisogno che le stesse vicino. <In bocca al lupo> gli augurò, poi distrattamente con tono sommesso.

<Grazie, viva il lupo> Si salutarono con lo sguardo e si allontanò a passo svelto verso la bottega del pescatore.

 Camminava lentamente sul marciapiede, fingendo di guardare le vetrine, ma si accorse che non gli interessavano, stava invece guardando se qualcuno lo seguisse in quell’area del porticciolo dove ormai, a quell’ora tarda, le strade erano deserte. Ma poi perché qualcuno lo doveva seguire? Quindi continuando a passo serrato, srotolò la pellicola e rivide tutto quanto riferitogli da Angela davanti gli occhi, fotogramma per fotogramma. Il Circolo, il Notaro e le comparse erano certamente gli angoli di un poligono, che non mostrava bene tutti gli altri spigoli, e come sempre tutto rimaneva nell’ombra, in una cittadina che invece rifulgeva per la sua luce. Giunse nella “bottega del pescatore” posta all’angolo del porto, con una piccola luce fioca che la segnalava; adesso era quasi ora di chiusura, ma con Piero il proprietario non c’erano problemi; erano amici dall’infanzia; si salutarono battendo vigorosamente una mano sull’altra e poi senza parlare Piero si recò nel magazzinetto frigo della bottega, ritornando con una cassettina di cefalopodi: calamari e seppioline miste molto piccole. <Sono già decongelate puoi usarle subito> lo informò consegnandoli le esche. Faceva sempre così ogni volta, sapeva sempre cosa gli serviva e forse gliele aveva anche conservate aspettando la sua venuta come faceva sempre. <Immagino che esci solo come sempre, mi piacerebbe qualche notte uscire con te, non tanto per pescare ma per rinfrescare qualche ricordo>. Ma Ruggero fingeva di controllare le esche. <Ho sempre molto piacere di vederti. Ruggero, lo guardò affettuosamente ricambiando la stima in silenzio e poi si salutarono.  Davanti la porta si voltò di colpo e gli domandò, <ma l’avvocato ce l’ha sempre il gommone quello grosso blu notte>. Piero non gli chiese nemmeno a quale avvocato si riferisse, gli disse che si, e che l’avvocato Perilli lo usava stranamente anche d’inverno, ma si meravigliò evidentemente della domanda. Quando tornò a casa predispose tutto quanto per la pesca, indumenti pesanti ed impermeabili e il suo berretto di compagnia; anche se ancora la temperatura era estiva la notte era lunga. Al porticciolo, fece le solite manovre che gli avevano insegnato per mollare gli ormeggi e si accorse che già tutti erano fuori a pesca. La stagione prometteva bene, si pescava di tutto in quantità, ma soprattutto il pesce di Traina. Accese il suo TO’TO’TO’, che si avviò al primo colpo e rispettando i segnali uscì prudentemente dal porto, dirigendosi verso occidente, come di consuetudine. Ormai stava sopraggiungendo la notte ed il cielo lasciava trasparire le stelle. In fondo là, a levante, si vedeva una luce più luminosa, che certamente doveva essere Venere per quanto gli avevano detto; al largo, nelle secche di pesca scorse i pescherecci locali ed altri forestieri già al lavoro; più in disparte nelle secche più vicine scorse anche un nugolo di piccole barche artigianali, che sfidavano il mare. Piccoli pescatori, amatori sempre presenti più dei pescatori, la pesca da quelle parti, la chiamavano pesca ma era come la caccia, forse più selvaggia e con pochi controlli. Come d’abitudine non è che avesse tanta voglia di pescare, di catturare, di cacciare, era in mare solamente per allontanarsi da terra, per rimanere solo, per potere pensare in maniera più tranquilla senza inseguire un ragionamento preciso. Ci riusciva sempre sia per la serenità che ti dava il lento blandire delle onde, sia per il silenzio rotto solo da qualche motore di barche lontane, dal brillare delle stelle o dallo stormire dei primi gabbiani, che si posavano leggeri al suo fianco in attesa, inutilmente in attesa pensava Ruggero sorridendo. Quando fu nella zona di pesca, si tenne in disparte delle altre barche e rallentò per innescare le striscioline di seppioline agli ami che lasciò andare senza cura fuori bordo. I professionisti gli raccomandavano di marciare a 2 o 3 nodi per la traina alla lampuga, niente di più niente di meno, ma Ruggero era quasi fermo lasciandosi portare dalla corrente. Gli ultimi giorni l’avevano turbato non poco per causa di tutto quello che girava attorno al circolo. Il suicidio fu poi totalmente inaspettato, in quella cittadina non succedeva spesso anzi quasi mai, la gente morisse per malattia o per cause d’onore. Non conosceva bene il commercialista suicida, ma non capiva perché avesse compiuto un atto così estremo. Sembrava più che benestante, a detta della gente, la moglie l’aveva vista qualche volta, bella in maniera vistosa ed elegante, non solo per quello che indossava ma per come lo indossava. I figli giovani studenti a Roma e Milano e lui un professionista ben accreditato. Quanto meno supportato da una rete di amicizie importanti che comunque lo inserivano in giochi grossi. Aveva acquistato una cabriolet firmata da poco e si diceva che avesse in trattativa una villa d’epoca sul mare. Non sapeva quanto potesse essere merito suo e quanto invece del supporto evidente del Notaro che lui faceva entrare in gioco abilmente quando necessario.  Evitava da sempre di entrare nelle faccende degli altri <Azzi loro >si diceva Ruggero, guardandoli sfilare sempre intabarrati a festa nella via principale. Ma adesso c’era di mezzo Angela. L’aveva vista veramente preoccupata. Ed adesso capiva che c’erano delle valide ragioni. Si stava infilando, o si era già infilata in un gioco molto più grande di lei. Da sempre aveva avuto verso Angela come un moto di protezione. Praticamente reggeva lei la famiglia ed era così testarda che non chiedeva niente a nessuno

Era molto brava professionalmente, coriacea e determinata con una logica stringente. Però era molto giovane e soprattutto sola. Non sapeva come aiutarla; nel passato le era stato molto vicino quando poteva o quando lei in qualche modo lo richiedeva. Ma adesso il gioco era molto sporco.  Sentì qualche pesce che mordicchiava l’esca, ma tutto qui e non faceva nemmeno alcuno sforzo per verificare o riarmare l’amo. Il silenzio era rotto dai motori delle grosse barche da pesca ed il vento portava qualche brontolio marinaresco.

 A qualche miglio, ma ancora a vista, verso occidente scorse una grossa barca da pesca non locale, che non gli sembrava di aver visto prima; aveva le reti tirate e procedeva molto lentamente, quasi alla deriva. Faceva Traina o Paranza? Quasi mai le grosse barche si lasciavano andare alla deriva per la traina, ma lui non era un esperto. Mentre tentava di rimettere in moto il TO’TO’TO intravide nella notte una scia bianca veloce, che si avvicinava al peschereccio che aveva scorto prima. Navigava senza luci di posizione, doveva essere un motoscafo o un gommone d’altura, per come si muoveva veloce e per i solchi spumeggianti che si lasciava dietro nel chiarore della luna.  Lo vide accostare a dritta del peschereccio e percepì che sul ponte della barca c’era un certo movimento inusuale, dopo qualche minuto il fuoribordo riprese di nuovo mare con l’eco di due motori che echeggiavano nella notte. A qualche miglia notò un battello della guardia costiera o della finanza, si lasciava trasportare dalla corrente ma stranamente avevano anche loro le luci di posizione spente. Inconsueto pensò. Fu tentato di avvicinarsi caso mai avessero fossero in difficoltà, ma desistette subito, magari stavano facendo un servizio di controllo particolare, e poi i giovani della capitaneria se ti fermavano ti trattenevano per un’ora, e non era il caso. Rimase un po’ a riflettere, ma fu ancora distratto dalle altre luci in fondo quasi ammassate, impegnate in una ricca azione di pesca. Niente, qualcosa lo aveva completamente portato fuori dalla sua solita quiete e dal piacere di stare in mare. Tirò velocemente le traine e l’ancora che si era slegata e fece rotta verso casa. Seguiva il faro principale dell’entrata del porto e poi le luci della cittadina vecchia, quella dei pescatori, che intanto che si avvicinava lasciavano intravedere i contorni dei terrazzi, con la biancheria stesa. Ingioiellata da tre profonde baie miste di scogli e sabbia, Punta Maestrale come una piccola penisola mostrava le sue grazie, una sinuosità quasi sensuale, insidiosa per chi non conosceva bene i suoi fondali. Nel passato, quando le barche navigavano in armonia del vento, doveva essere una vista spettacolare per chi arrivava con i velieri in mezzo a queste meravigliose insenature. Punta Maestrale era anche un rifugio sicuro, esposta ai due mari con due golfi importanti consentiva, anche durante il maltempo formato, di trovare un ridosso. Non era raro, ma ancora oggi d’inverno, quando il maestrale faceva battere i pennoni delle barche, scorgere nella notte i fari di imbarcazioni, anche di grosse dimensioni, che cercavano rifugio sotto costa al riparo del vento. Sembravano delle piccole città galleggianti, barche forestiere che rimanevano sottovento fino a quando non arrivava il bel tempo. Nel passato più antico, si dice, che in queste anse arrivassero i Turchi a rubare e razziare. Nella leggenda del paese si narravano episodi di violenza e di ruberie che venivano concentrate alla fine nell’imprecazione “Mamma Li turchi”. I turchi erano tutti quelli che arrivavano dal mare di Ponente e Libeccio; bastava sentire il vento e già venivano etichettati. Ma da li erano arrivati anche gli Elimi, i Siculi, i Greci. i Fenici i Romani, Arabi, Normanni e Spagnoli. Tanti e da tutte le parti del mediterraneo. Sarà per questo che qui su questa terra è così difficile ritrovare una identità unitaria omogenea. A volte parlando con un tuo concittadino, uno della tua terra, ti sembra di parlare con un forestiero, non solo per i tratti fisici ma anche per le “fisime”, abitudini così diverse nello stesso luogo o colorazioni dialettali a volte incomprensibili. Un perfetto Melting pot direbbero gli americani. Melting pot senz’altro, ma perfetto forse non proprio. Perché alla fine dei giochi i visitatori, in ogni caso, anche ai nostri giorni, erano tutti Turchi; tentavano non solo di razziare ma, in qualche modo anche violento, di modificare la tua indole antica. Oggi si direbbe che tutti questi visitatori venissero a Civilizzare o a Democratizzare, e come sempre imponevano un modo di essere, culture e costumi, che non ti appartenevano. È successo sempre dagli albori del mondo, succederà sempre. I popoli più organizzati o più evoluti o comunque più potenti, ad un certo punto decidono che hanno bisogno di più spazi. Cominciavano a spostarsi nelle terre più vicine e poi nei mari. Era una soluzione naturale. Non importava se gli abitanti dei luoghi, dove penetravano, vivessero in santa pace, con le loro abitudini ed il loro credo. Erano sempre spinti da un motivo “civilizzatore” e supportati dalla religione del momento. Ed a seconda del tipo di civilizzazione che intendevano esportare, requisivano terre o abitazioni, o eliminavano i nativi del luogo per rimanere più liberi; i rimanenti quelli in buona salute li assoggettavano civilmente alla schiavitù. Non ti ammazzo, ti insegno un mestiere, ti do da mangiare, ti fornisco una religione più efficace, ma cosa hai da lamentarti se ti chiamo schiavo. Anche più recentemente succedeva tutto questo, allo stesso modo. i civilizzatori erano gli Imperi di qualsiasi meridiano. Arrivavano, cambiavano velocemente il tuo stile di vita la tua religione, perché non era più adeguata ai tempi. Ai tempi dei civilizzatori per intenderci. E quando ti andava bene ti inquadravano in sistemi amministrativi o giuridici, che non sempre erano adeguati alle esigenze dei Nativi. I locali abbozzavano, avevano visto arrivare e poi partire tante navi da Ponente, che sapevano che prima o poi sarebbero arrivati altri Turchi, magari con costumi diversi. Arrivavano gli altri e ti dicevano che invece loro erano i veri civilizzatori. Che le regole erano completamente diverse, che era tutto sbagliato quello che stavano facendo o a cosa avevano creduto. Una successione infinita di insegnamenti “civili”, un rimescolamento continuo a cui i locali infine si abituavano. E la dà loro era avvenuto per millenni. Ed allora perché “[13]catamiarsi”, perché accettare e credere totalmente nelle verità che gli altri tentavano di inculcare, perché opporsi violentemente? Si realizzava che alla fine era un assoggettamento temporaneo, poi arriveranno gli altri e poi altri ancora “[14]Calati iuncu chi passa la china” dicevano, resisti fino alla nuova piena poi ti rialzerai. Tutto questo però evidentemente impediva la costruzione di una etnia omogenea e coesa – Quindi perché meravigliarsi degli isolani. Come fai ad opporti a qualcosa che è strutturalmente più grande di te. Con quali mezzi? Ed invece poi, molto dopo studiosi e storici sì “[15]sciarriavanu” per individuare il come ed il perché della fragilità degli isolani. Una mancanza di dignità antropologica, affermavano con toni cattedratici, guardando con biasimo la platea dei nativi quasi con disprezzo. Come dire noi ce l’abbiamo messa tutta per civilizzarvi, ma voi non avete la struttura antropologica per apprezzarlo. Quindi non avete futuro per colpa vostra. Come si dice da noi “[16]curnuti e vastuniati”, Quando cominciò ad ormeggiare in banchina era quasi l’alba, e nel pontile c’erano solamente le barche amatoriali, piccoli gozzi e fuoribordo; quelle che praticavano la pesca d’altura erano ancora in mare, il tempo prometteva bene. Anche il bar di Gianni era chiuso, decise perciò di andare direttamente a casa.  Dopo un poco si accorse però che non aveva preso la solita strada per tornare, ma stava percorrendo un cammino più lungo attorno ai moli; aggirando tutta la banchina grande ed introducendosi anche nei piccoli bracci di ormeggio. Non lo faceva spesso se non per curiosità, ma adesso sperava di incontrare il grande fuoribordo, che aveva visto poco prima abbordare quel grande peschereccio forestiero. Girò anche per tutti gli attracchi degli aliscafi, ma la barca che cercava si era come volatilizzata. Era già arrivato vicino casa ed in strada cominciava il traffico dei mattinieri, fruttivendoli, operai che lavoravano fuori città i baristi naturalmente. E chi rientrava, dal lavoro, qualsiasi lavoro. Conosceva tutti, li vedeva quotidianamente e sempre con una battuta affettuosa o feroce si scambiavano un saluto e si auguravano una serena giornata. Avvertì un languorino che lo stuzzicava, già da un poco e decise quindi di accelerare; salì le scale velocemente, sperando di non incontrare nessuno e finalmente dentro casa addentò con voracità un panino di segale che farcì come sempre con interiora di tonno e limone.  Accompagnò il tutto con un vino locale ambrato, di fattoria. Malgrado la incredibile quantità di terreni coltivati a vigneto, solo da qualche anno si producevano vini da tavola a gradazione accessibile. Si cominciava ad imbottigliare direttamente sui luoghi di produzione, piuttosto che venderlo intonso alle aziende del nord. Molto per merito dei giovani che si inserivano poco a poco nelle aziende vinicoli familiari, cambiando i sistemi e le abitudini, anche con il supporto di enologi non locali. Guardò il bicchiere mezzo vuoto in trasparenza, e pensò che se avessero continuato con questa qualità la viticultura sarebbe diventata una filiera trainante in poco tempo. Poi tentò di accendere il televisore senza successo. Non è che gli interessasse molto, però l’aiutava ad assopirsi Si ficcò dentro la doccia per pulirsi dalla salsedine e dopo asciugato, si infilò fra le lenzuola dove si addormentò immediatamente.

3 Funerali 25 Aprile

 I Funerali del commercialista Del Prete si celebrarono in maniera molto privata, nella Basilica Maggiore. Con la sola presenza dei parenti più stretti, gli amici d’infanzia e naturalmente il Notaro con la moglie a fargli da suppellettile. Fuori, comunque la piazzetta era colma di altra gente; conoscenti, ma soprattutto di curiosi per l’ultimo chiacchiericcio. <Io lo sapevo che prima o poi doveva succedere, diceva il postino al fiorista> e poi si rinchiudeva in un mistico silenzio con l’approvazione dell’amico.  La moglie Claudia totalmente di nero, con appena qualche gioiello era come sempre molto elegante, avvolta in una sciarpa di seta da dove trasparivano i capelli biondissimi e degli occhi stanchi e penetranti. Non sembrava molto addolorata, <sembra più afflitto Giancarlo il nipote> diceva qualcuno, Ma tutto finì lì, perché velocemente la bara fu posta sull’auto funeraria, che si avviò subito verso il camposanto. L’accompagnamento era composto da un corteo di pochissime macchine. Tutto cominciò e si concluse nella prima mattinata. Angela che era stata presente dietro le quinte, non poteva mancare. Stava semisdraiata nella sua Cooper impolverata col cellulare sempre sparato, e di tanto in tanto lanciava uno sguardo sulla gente con fare indagatore, come per registrare l’avvenimento. Poi si accodò al corteo funebre. Gli raccontò, che dopo il funerale quasi tutte le auto che aveva visto, dietro al feretro, si erano dirette nella villa del Notaro e non della vedova. Aggiunse poi, che lo stesso Notaro non si era recato a casa della vedova, come era uso dalle nostre parti. Si aspettava qualche commento da Ruggero che non arrivò. I giorni successivi trascorsero in apparente normalità. La gente continuava a “sfrucualiare[17]”, gli raccontava Gianni. <Al bar sento di tutto>. In particolare fra le cose più concrete era emersa una certa tensione fra la vedova ed il nipote Giancarlo; l’unico nipote di Del Prete che era cresciuto nello studio dello Zio. Lo avevano visto veramente addolorato. Un nipote che conosceva pressoché tutto delle attività dello zio, a cui venivano affidati le incombenze più delicate. Giancarlo aveva avuto una sana educazione salesiana, e si mostrava ben diverso negli atteggiamenti dallo zio defunto, ma anche della corte che lo contornava, compreso i frequentatori del circolo. Morigerato, malgrado il ruolo che teneva, sembrava esattamente l’opposto dello parente suicidato. Si diceva che non ci fossero buoni rapporti con la zia Claudia, che aveva osteggiato sempre l’ingresso in quota nello studio del commercialista. Era troppo giovane e troppo inglese per resistere in quel territorio complicato, ed anche troppo precisino per sbrogliare adeguatamente le problematiche della clientela del territorio, non sempre limpide. Ma si diceva anche che lo zio lo avesse voluto socio per il patrimonio di relazioni nazionali ed internazionali, che si era costruito negli anni. Ma era anche molto interessato a quelli religiosi, per tramite dei rapporti che il nipote godeva in Vaticano, e che in tale veste gli avesse delegato molti dei lavori che esulavano il tran tran delle attività locali. E quello che religione ed affari possono realizzare, quando si associano, a volte travalica la spiritualità del quotidiano a cui sono abituati i credenti.  Di conseguenza fra zio e nipote si era creato un rapporto solidale, che si era rafforzato nel tempo proprio per la suddivisione dei compiti complessi che i due professionisti erano riusciti ad instaurare. Un rapporto che negli ultimi tempi diveniva critico a causa dei rapporti sempre più aggrovigliati che lo zio teneva con la banda del Notaro e soci. Perché si diceva compromettersi fino a questo punto. Non trovava risposte evidenti, e non era certamente per un banale fattore economico. Lo studio lavorava e guadagnava alla grande, e suo zio disponeva di ingenti liquidità e innumerevoli immobili, si diceva.

 Il 25 Aprile in Italia è la festa della liberazione, ma al Circolo Sociale si festeggiava come sempre l’anniversario della fondazione con una festa in grande stile, musiche e danze d’altri tempi, con gli ospiti rigorosamente abbigliati in stile ostentatamente classico, con preziosissimi gioielli a tutta vista. Malgrado il lutto recente di un socio, la ricorrenza veniva festeggiata con grande sfarzo come se non fosse successo nulla. Dopo le condoglianze ed i convenevoli anche il Notaro sembrava rilassato e pimpante come sempre. La moglie del Notaro sfoggiava regolarmente l’ultima parure in corallo rosso, realizzata da artigiani locali, soverchiando in eleganza e splendore tutte le altre dame. Gli uomini erano quasi tutti in abito monacale scuro, molti a righe con cravatte quasi a lutto. Il Notaro ostentava un doppio petto con gilet che lasciava intravedere una pancia sovrabbondante, indice manifesto di libagioni politiche sterminate. Dopo i discorsi di benvenuto e la presentazione dei nuovi soci, con applausi di prammatica, si formavano gruppuscoli omogenei per professione o specifici interessi. I medici stavano sempre nell’angolo sinistro cappeggiati da un chirurgo anziano u Zu Mario, come lo chiamavano affettuosamente, che descriveva ad alta voce l’ultima tecnica di sutura a gaffe, importata dalla Francia. I più giovani fingendo di ascoltare discutevano sulla possibilità di carriera. Nell’angolo opposto, si incrociavano gli amministrativi ed i legali, fra i più numerosi nell’ambito del circolo; avvocati e direttori di qualsiasi ente locale si scambiavano opinioni sulla sana amministrazione, e sulle modalità di innovazione, che però non venivano mai applicate. I legali stavano invece vicino, quasi in adorazione ad un folto numero di magistrati, invitati eccezionalmente per l’occasione, ascoltando religiosamente tutte le eccezioni ed i dettagli paranoici di applicazione delle nuove leggi civili o penali; qualche giornalista della stampa locale, circuiva tutto il gruppo annuendo positivamente con un cenno vistoso del capo ad ogni pausa intermedia, o si mettevano in mostra con osservazioni di rito. Angela non era stata invitata. <Comprendiamo che gli organici sono molto ristretti, però si dovrebbe fare qualcosa di più per accelerare i processi. Abbiamo apprezzato molto le assoluzioni dei presunti corrotti, l’imputato è innocente fino a prova contraria, e non può succedere ancora che un innocente venga dilaniato dai media senza alcuna sentenza. <La costituzione parla chiaro ed i diritti dei cittadini sono inalienabili, fino a prova contraria, Le leggi repubblicane tutte lo riconoscono e lo garantiscono sottolineava con tono professorale.> Il Notaro saltellava da un gruppo all’altro, prendendo la scena con argomenti sconclusionati ad alta voce, e tutti si mostravano d’accordo. <Stiamo lavorando per risolvere il problema, non si può continuare così> diceva con convinzione, e dopo una serie infinita di Dovremmo, si Dovrebbe, Faremo…, la serata si concluse con i saluti di rito, e sorrisi cordiali sbandierati senza ritegno. Quando gli ospiti andarono via In un angolo appartato rimase un gruppetto sparuto ed indistinto di soci capeggiato dal Notaro; assicuratosi che tutti gli astanti, ed anche gli inservienti fossero andati via li guidò in una saletta privata interna, lontana anche dalle vetrine sulla strada. Non erano più di dieci ogni volta gli invitati a queste riunioni ristrette. Quasi sempre ai soci canonici si aggiungevano altri personaggi, arrivati in sordina, che trovavano posto nella parte più in ombra della sala. Si conoscevano tutti molto bene ed i convenevoli furono veloci e senza scene, ma si baciarono tutti. Più che una riunione ristretta di amici sembrava una confraternita che, anche se di origini sociali ed ambiti culturali diversi, condivideva alcune cose in maniera intima ed esclusiva. Prese la parola il Notaro, attaccò subito con voce dura e tagliente, <Bene amici miei; anzi male malissimo, stiamo attraversando tempi durissimi e disordinati, nelle ultime settimane sono successe cose pesanti da tutte le parti, toccando i ns interessi, le nostre persone, i nostri familiari. Non mi pare che abbiamo fatto niente per frenare tutto questo> Non fece nessun accenno alla disgrazia capitata al cugino. Approfittò di una pausa teatrale, per guardare tutti roteando lo sguardo per tutta la sala. Sembrava un interrogatorio, come se volesse trovare subito una vittima sacrificale, dove però le vittime erano tutti i presenti, nessuno escluso. <Ingegnere> riprese quasi con sarcasmo, rivolto al capo dei lavori pubblici provinciali, nessuno dei lavori concordati è andato in appalto>con il dito minaccioso continuò <il piatto piange ma voi ve ne fregate, come non fossero affari vostri, non voglio sapere niente, non voglio capire niente> aggiunse smorzando un tentativo di risposta <voglio vedere i fatti, vogliamo vedere i fatti, gli interessi sono di tutti qua i presenti, ma anche di altri che voi sapete, e devo dare delle risposte>. Indirizzò il dito verso l’alto per mostrare a chi si riferiva, ed aggiunse<Perché alla fine sono io il responsabile del circo equestre; ed il circo equestre costa. Costa moltissimo e non solo quattrini, ma tempo dedicato ed anche rischi>; quindi si rivolse senza pausa al direttore sanitario del territorio: <dutturi tu sai perfettamente che non hai nessun titolo per stare a questo posto, ti abbiamo messo la solo per fare le cose che interessano a noi> ancora un’altra pausa e dopo un altro sguardo circolare, chiarificatore per sottolineare il suo potere assoluto, continuò con un tono quasi minaccioso guardando la vittima fissamente negli occhi.

<[18]Quannu accumincianu le assunzioni, sono sei mesi che ci prendi in giro con – oggi o domani è tutto pronto –  ancora non abbiamo visto niente; Si spostò su un fianco e con un atteggiamento inquisitore continuò < Subisco pressioni di ogni tipo, [19]a genti si lamenta, hanno uscito già i soldi per avere un posto ed ancora aspettano: Dio non voglia che si “[20]scazzanu” e succede un quarantotto; e se e quando succede io, nemmeno io posso fare più niente. Non sono il padreterno, continuò aggiustandosi la camicia. Infine dopo avere bevuto un poco d’acqua, con fare più calmo si rivolse al Giudice Tiritto. <Signor giudice esimio, noi siamo sempre onorati di averlo fra noi, Lei sa che prima di lei c’era la buon’anima del dottore De Bonis, pace all’anima sua, che era un orologio svizzero> ed allargò le braccia in senso di rispetto < Lei è arrivato da poco in questo paese, e le persone che l’hanno raccomandato sono di tutto rispetto, però voglio essere onesto, ancora non abbiamo visto niente di quello che ci aspettavamo;  nella riunione precedente subito dopo il suo insediamento avevamo concordato le cose da fare e le priorità. Una agenda che lei si era impegnato a portare avanti puntualmente> e con un segno delle dita puntualizzò <Per non sbagliare gliela leggo>. Prese un taccuino dalla borsa, mise gli occhiali con le stanghette dorate e continuò.

A) <Signor giudice, doveva accelerare tutte le pratiche ipotecarie e di fallimento per mettere all’asta gli immobili, ed ancora non abbiamo visto niente, ed i nostri amici che aspettano, pagano un sacco di interessi in banca >

B) <Si doveva provvedere agli affidamenti delle proprietà confiscate ai mafiosi, e idem;

C) Doveva farci avere i documenti segretati della famiglia Tribona, ed ancora aspettiamo e quelli sono ancora “in carcere”>

<Noi signor giudice siamo onorati di averla con noi, anche se ne abbiamo di amici importanti dentro il tribunale, e lei lo sa. [21]Ma ccà i cosi sunnu due anzi una, nnamu allestiri. Ci sono interessi grossissimi in gioco> concluse quasi urlando e quindi riattaccò. <E poi glielo dico con tutta riservatezza> continuò abbassando la voce e lo sguardo< il paese è piccolo e a genti parla e lei lo sa a cosa mi riferisco. Quindi tutti, qua dentro, che abbiamo fatto molto per parargli il culo, le suggeriamo “[22]si ci piacinu i balletti li facissi a nautra banna, picchi a genti palla> gli scatarrò quasi in faccia, confinandolo come in un angolo di appestati. <E poi diventa facilmente ricattabile, ed a noi tutto questo non sta bene. “[23]Ci lu staiu dicennu” amichevolmente senza alcuna minaccia, naturalmente> Infine si rivolse a quelli seduti in seconda fila, <Picciotti stiamo realizzando alcune cose buone, che non vi posso anticipare al momento>. Però parliamo di tantissimi “picciuli”, sia nell’area delle costruzioni, sia nei lavori pubblici. “[24]Stamu parlannu di picciuli assai”, quindi un poco di pazienza, “[25]dicitici all’amicu meu” che io sono stato sempre di parola, e che con me non ha perso mai niente, anzi. Pertanto finitela di fare [26]tutti sti casini “mezzu a strada unn’è chiu tempu di fari sti cosi”. “Ora i sordi si varagnanu stannu assittati, no stannu pi strada a sfugualiari i cristiani chi travagghianu”.> Concluse. Quindi sorseggiò ancora un poco d’acqua soddisfatto e poi con un sorriso a 36 denti disse <bene picciotti ora brindiamo al 25 Aprile> non ci fu nessun altro commento. Il gruppo si sciolse discretamente per le strade vicine dove gli autisti aspettavano. La nube che lo aveva avvolto nell’ultima mezz’ora si sciolse, e Ruggero si distese più comodo mentre dalla serranda si intravedevano già i colori lievi dell’alba. Voleva fare un bilancio di quegli ultimi giorni. Davanti agli occhi si presentava sempre Angela indaffarata e preoccupata. Gli rintonavano sempre più forte le sue parole “è peggio di quanto tu immagini”; quanto peggio, pensava; ed era come se le sue parole si incrociassero e definissero a colori i dettagli ed i contorni delle facce che aveva intravisto poco prima, e ne accentuassero la significanza. Era certo adesso che Angela conoscesse a fondo molti degli intrighi dei frequentatori del Circolo. Esisteva da sempre, una volta si chiamava anche Circolo Mazzini, anche suo padre ne fece parte per qualche tempo, ma poi si dimise e non gli spiegò mai perché. Farne parte era come un riconoscimento, più che del Rotary o Lyons; si viveva un’atmosfera diversa, fra pari che si proteggevano ricucendo le pezze sdrucite di una coperta composta da mille colori. Un puzzle dove comunque si navigava bene e navigavano bene, e non c’erano buchi che non si potessero rammendare. Divenivi socio per successione familiare o per chiamata unanime dei soci anziani. Tutti agognavano un giorno di ricevere la chiamata.  E tutti facevano qualcosa per mostrare di meritarsi la chiamata.

Più volte alcuni rappresentanti anziani avevano tentato anche di adescarlo <Ruggero avremmo bisogno di uno come te fra di noi>, ma rifiutò amabilmente. <Sono onorato, ma sono sempre in viaggio non ho mai tempo, sarei come una zavorra per il circolo>; insistette anche Zio Carletto, come lo chiamavano, il veterinario; un lontano parente. Si fece trovare sotto casa un giorno d’autunno come per caso, <quanto tempo che non prendiamo un caffè insieme> si girò attorno senza aspettare risposta <c’è un nuovo bar a piazza dei martiri ottimo caffè e pasticcini di mandorla> insisteva, standogli incollato quasi a spingerlo dalle terga <leccornie da urlo> Sapeva già dove voleva andare a parare, e comunque si fece guidare fino al nuovo locale dove sedettero sotto una tettoia con i colori del mare. <Dunque Ruggero al circolo stiamo diventando tutti vecchi, abbiamo bisogno di carne nuova> -spero che non sia carne da macello pensava Ruggero- <Ti vorremmo come socio per ravvivare la nostra attività nel sociale che sta languendo, lì dentro sono tutti d’accordo che potresti essere la persona giusta, visto il tuo profilo professionale e la storia della tua famiglia Puoi farne parte senza pagare la quota d’’ingresso>

 -che era una cifra pensava-. <Mi hanno chiesto di contattarti, dacci una risposta al più presto ti inseriamo nella prossima assemblea mese prossimo. Avrò io stesso il piacere di presentarti, Insieme a monsignore Tasselli, ed al colonnello Aroldo>. <Ci saranno altri ospiti che vengono da fuori che tu conosci, sarà sicuramente una bella serata>, concluse alzandosi velocemente e pagando il conto in contanti. Ruggero si accorse che non aveva consumato nemmeno il caffè. Rimase stranito, non solo per l’insistenza dell’invito ma anche per gli altri sponsor presentatori. Il Monsignore sospeso e censurato da tempo per alcuni gravi contestatigli dal Diritto Canonico, lo conosceva appena per averlo incontrato in qualche conviviale, non c’era nessun altro rapporto. Molto autorevole e sempre ben curato, con sciarpa di seta rossa e baschetto prezioso. Aveva le sembianze del diplomatico, ancor più che un ex chierico, di una piccola cittadina del sud. Era un modo di fare che si rifletteva poi nell’atteggiamento, distaccato e mai confidenziale. Buon amico e confidente del Notaro e di tutto il giro del circolo più esclusivo. Il colonnello, anch’egli in pensione, era arrivato sul territorio da un ventennio e rimase inamovibile nell’arma dei carabinieri per un tempo lunghissimo. Di origini lombarde aveva sposato una donna dell’alta borghesia locale, e si era assuefatto alle abitudini del luogo quasi subito. Svolgeva nell’arma un ruolo molto delicato, sempre vicino alla magistratura, per le inchieste più eclatanti nell’area della mafia e finanziaria, soprattutto. Anch’egli frequentatore del circolo e grande amico del Notaro. Entrambi, tuttavia per motivi diversi erano stati molto chiacchierati, li chiamavano i due compari. Non c’era una ragione specifica ma normale “curtigghio di piccolo salotto; però “[27]u Carvuni sun tingi mascaria” si diceva in paese. Monsignore soprattutto si diceva avesse anche frequentazioni femminili che esulavano dal suo ruolo clericale. Ruggero non aveva una particolare simpatia per loro, ma al contempo non dava molto spazio alla chiacchiere di paese. Comunque non accettò mai l’invito del circolo, e nemmeno diede spazio ad altre circuizioni portate avanti da altri amici del momento. Successivamente, quando il rifiuto divenne palese, quasi un oltraggio, percepì un atteggiamento evidentemente ostile da parte dei soci tutti. Non lo invitavano più nemmeno alle conviviali, e per strada lo salutavano freddamente o lo scansavano. Anche le signore, mogli dei soci, mostravano un atteggiamento scostante. Il Circolo Sociale era molto coeso pensò. Era normale per una cittadina di quelle dimensioni, dove trascorso l’importante periodo di sviluppo imprenditoriale nei primi anni del secolo, si era come addormentato. Non solo perché le generazioni successive non avevano stimoli o capacità adeguate, per portare avanti le iniziative importanti avviate dai progenitori, ma anche e soprattutto perché, conseguentemente all’unificazione, la legislazione nazionale aveva penalizzato le produzioni locali non rendendone più competitive sui mercati nazionali ed internazionali.  Succedeva così che la borghesia si fosse appiattita anno dopo anno sulle nuove mode dell’apparire, mentre i circoli divenivano sempre più le passarelle della banalità 

4 FRANCESCO

Francesco lo aveva chiamato più volte, come gli aveva ricordato la commessa del bar all’angolo, ma Ruggero non l’aveva richiamato. Faceva così con tutti gli amici più cari che avevano il suo numero, sperava che lo dimenticassero e così di dimenticarli tutti. Ma Francesco era diverso, era il suo migliore amico già dall’infanzia. L’amico che lo consigliava quando percepiva anche da lontano le sue difficoltà, e lo sorreggeva quando lo sentiva debole. Peccato che vivessero così lontano. Comunque non lo richiamò. Sapeva già che gli avrebbe proposto di vedersi alla prima data utile ed era molto abile ad incantarlo proponendogli un evento “unico” che sapeva lo intrigava < fine settimana si esibiscono i Queens> o <ci sarà la presentazione delle ultime scoperte fatte dagli archeologi francesi a Mosul, ho già prenotato> Ci pensò un poco sorridendo tentato ma resistette e non lo richiamò. Da qualche tempo non voleva parlare più con nessuno che gli ricordasse il passato, li aveva rinchiusi in un baule di pelle lavorata e riposti nel sottotetto, immaginando che la polvere poco a poco ne cancellasse il ricordo. Ogni tanto però sempre un refolo di vento, che passeggiava sulla sua finestra rispolverava tutto con una carezza, e tutto tornava limpido ai suoi occhi, ma soprattutto nei suoi neuroni che qualche volta erano troppo intasati di tutte le banalità che viveva nel presente.  In Francesco anche se era fra i migliori amici d’infanzia, di scuola, e che poi aveva condiviso molti episodi della sua vita, belle e meno belle, riconosceva una speciale saggezza data dal suo carattere sereno ma anche dalla sua cultura profonda, non solo nell’area professionale, e poi supportava le sue scelte senza giudicarlo mai. Viveva ormai da sempre a Parigi dove aveva conseguito una specializzazione in chirurgia, e dove dopo poco era divenuto apprezzato primario “Aux invalides”. <Si vabbè, poi mi spieghi chi ti ha raccomandato per entrare nell’Olimpo> lo canzonava sempre Ruggero. Faceva parte del suo cerchio magico, una cerchia ristrettissima, quasi una congregazione, che se pure di temperamento e cultura differenti condividevano in concreto alcuni valori essenziali della vita. Non si incontravano spesso e l’ultima volta fu qualche anno prima, in occasione di un compleanno di Ruggero. Una data che Ruggero dimenticava sempre. Non solo perché lo faceva sentire più vecchio, ma perché non amava i convenevoli di facciata. -Infiniti Auguri, Mille di questi Giorni. – Quasi si scansava quando succedeva, e poi si guardava nella prima vetrina inforcava l’occhiale da sole rigorosamente Ray Ban d’annata e si diceva <Sehh vabbè, ma dai> Non aveva paura della vecchiaia, anzi fin da giovanissimo invidiava gli amici più avanti negli anni < se vi fermate un pochino fra poco vi raggiungo> si diceva ma i suoi amici non si fermavano mai. Organizzò tutto lui, Francesco, rientrando appositamente da Parigi. Fu una sorpresa inaspettata che lo commosse, anche se faceva finta di niente, minimizzando tutto con qualche battuta. <Picciotti ma [28]vinistu pi mangiari a gratis>; Erano presenti quasi tutti, in particolare la presenza di Marcello, l’esperto di missioni umanitarie gli metteva molta gioia. Non si muoveva mai per niente, e come ogni anno veniva appositamente per condividere la gioia con gli amici. Filippo, Buyer per una catena alimentare, veniva da Milano ma lui era sempre presente. Carmelo, Tommaso, Luigi ed Antonio erano delle province vicine ed era più facile incontrarli. Insieme avevano vissuto molte esperienze di gioventù ma anche professionali, anche non piacevoli, però sempre erano rimasti uniti e solidali. Rappresentavano un gruppo che per motivi diversi aveva avuto un ruolo importante nella sua vita, un cerchio da dove non erano più usciti. Francesco aveva organizzato la festa in un piccolo baglio di una contrada vicina con tutto l’inimmaginabile: candeline, botti, piatti succulenti, tutti a base di pesce e naturalmente cannoli, graffe a tonnellate; quando arrivò guidato da Angela, Ruggero rimase visibilmente stordito e questa volta lo mostrava senza vergogna. Lo incitarono per un discorso di prammatica e lui guardando in cielo disse semplicemente: <Grazie. > Si mescolavano a gruppetti mentre degustavano le prelibatezze preparate da Francesco, si componevano e ricomponevano in continuazione non solo per affinità.

Approfittavano dell’occasione di ritrovarsi dopo tempo, si raccontavano le ultime storie della loro vita, sottolineandole con fragorose risate o controbattendo ad alta voce, battute salaci, ricordi d’infanzia, in un angolo a parte c’era Marcello. Ruggero gli si fece vicino e ad alta voce gli chiese < Anche tu con questi pazzi scatenati, da dove arrivi: Africa, Asia, Sudamerica> Marcelo lavorava in una Onlus umanitaria, che lo inviava come chirurgo volontario in aree depresse del mondo e spesso in zone di guerra. Aveva normalmente un profilo basso, consono al suo carattere semplice e sereno, non si alterava mai ed evitava di entrare in discussioni di principio, anche con gli amici. Pur avendo molte cose da raccontare evitava sempre di parlare del suo lavoro o dei luoghi che aveva visitato. Ti guardava negli occhi con calore ma senza invadenza, come dire -ci siamo in questo mondo e dobbiamo fare qualcosa per riconoscerci umani. -Che peccato che invece quasi nessuno faccia qualcosa, e che davanti al dolore degli altri, spesso provocato da noi, ci giriamo dall’altra parte- <Sono in Sudan da qualche mese, mentre prima ero in Burkina. In Sudan stanno arrivando le prime avvisaglie salafite e presto sarà dura>, disse guardando il fuoco del barbecue, che scintillava scoppiettando, <in Burkina invece sta succedendo qualcosa di veramente straordinario, epocale direi> si girò verso di lui per guardarlo meglio, cercando consenso o forse conforto. <Come avrai letto questo giovane presidente Thomas Sankara, da quando ha preso le redini in mano sta rivoltando il paese, coinvolgendo anche gli stati confinanti, e non si deve fare, tu lo sai perfettamente come la pensiamo noi civilizzatori> aggiunse. <Si ho letto in questi giorni di questo giovanissimo “rivoluzionario”, come sempre definiscono le nostre cronache, chi tenta di salvare il suo paese dall’invasore; so che è molto apprezzato non solo in Africa, ma non so altro>, interloquì Ruggero. Marcello riprese con enfasi <E’ un idealista d’altri tempi che vorrebbe liberare il continente Africano da Noi> Ed i suoi occhi si fecero piccolissimi con una vena di tristezza. <Ha un seguito enorme in molte aree africane, e naturalmente è malvisto dai Poteri Forti; specialmente la Francia, come potrai capire. Vediamo che succede> soggiunse guardando il cielo <Ma non la vedo messo bene, è troppo onesto, troppo evidente, troppo pulito>. Ruggero ascoltava attentamente ogni dettaglio della narrazione era molto interessato a quel paese, e non voleva interromperlo. Marcello, viveva i luoghi di prima mano e riportava la verità autentica sul campo. Tentava di raccordare le sue informazioni recenti con quelle di Marcello, che in parte coincidevano con le sue, ed entrambi le versioni lasciavano pensare che a breve sarebbe scoppiata qualcosa di spiacevole in Burkina. Parlarono ancora di altri paesi, anche se Marcello regolarmente lo riconduceva su Burkina incuriosendolo oltremodo, quasi a pensare che lo stesse provocando pensava. La narrazione corrente riportava Sankara come un eroe, un uomo integro volto al raggiungimento concreto della felicità del popolo africano come diceva in tutte le occasioni: “Vogliamo essere gli eredi di tutte le rivoluzioni del mondo” asseriva, “Non possiamo essere la classe dirigente ricca in un paese povero” ripeteva in tutti gli ambiti politici e non. Ma soprattutto quello che disturbava l’ambito internazionale del tempo era il suo Panafricanismo. Alla conferenza di Addis Abeba del 1987 Sankara affermò che <il debito dei paesi africani non era altro che una manipolazione del futuro e della crescita dei popoli, che sarebbero stati finanziariamente schiavi.> Certamente un giovane con grande carisma, lo intrigava non poco. Più volte si era ripromesso di incontrarlo, ma erano mancate sempre le circostanze favorevoli. Alla fine Ruggero chiese <quanto è complicato visitare Burkina?>

<Oggi non è difficilissimo, tu hai abbastanza relazioni nell’aria africana, ma se vuoi io posso coinvolgere gli amici che sono rimasti in loco>. E poi aggiunse <Però Ruggero se decidi di andare, avvisami in tempo, è un luogo estremamente complicato ed a rischio> Conoscendo Ruggero la raccomandazione era obbligata. Furono interrotti da Filippo che porse due calici di bollicine e poi esortò tutti a brindare alla rimpatriata. <Ed allora brindiamo al compleanno di Ruggero ed a noi tutti che riusciamo a rivederci, malgrado gli impegni e le famiglie che rompono>

<Un brindisi all’amicizia vera> aggiunse Francesco <In alto i calici ed auguriamoci di vederci più spesso>. Tranne Marcello, avevano tutti famiglia, alcuni erano al secondo figlio, da tempo impegnati in attività professionali di prestigio, sempre disponibili a condividere col gruppo nuove opportunità di lavoro o di amicizie funzionali. Da sposati, ma soprattutto con le prime paternità, frequentarsi era diventato sempre più complicato; ci provavano dandosi un appuntamento al più presto, ma sempre accadeva qualcosa che regolarmente si doveva rimandare. Comunque continuavano a ripetersi ad ogni incontro casuale, <dobbiamo vederci presto, organizziamoci> consapevoli che non sarebbe stato possibile, ma era già un piacevole complice auspicio. Angela gli si fece vicino e con un traboccante affetto che traspariva dagli occhi disse in maniera complice:<bello stare in mezzo alle persone che ti vogliono bene, io ti auguro tutto il bene che cerchi> accostò il bicchiere e lo baciò nella guancia. In un angolo vicino al barbecue, come sempre, stava Francesco, si incontrarono con gli occhi mentre lui era preso da una discussione animata con Angela. Si Francesco faceva parte veramente dei suoi amici storici ma anche della sua vita più recente, avevano frequentato le stesse scuole fino a 18 anni poi giunse la separazione per motivi professionali, però era stata una separazione consenziente perché poi si sentivano e curtigghiavano 100 volte al giorno anche per motivi banali. Prima, molto tempo prima avevano avute molte più opportunità per vedersi. Ruggero per il suo lavoro viaggiava continuamente, e trovava sempre la maniera per fare una sosta a Parigi, specialmente di ritorno dei suoi viaggi oltre oceano. Arrivava in aeroporto di notte e senza preavviso lo chiamava al telefono a qualsiasi ora <Ciao Francesco, sono qua>. Dall’altra parte una voce assonnata ma non infastidita <bene dammi il tempo di arrivare, prendi un caffè nel bar degli arrivi vicino l’ingresso sud> e dopo una mezzoretta arrivava. Una pacca sulla spalla e guidando veloce senza parlare fra le strade vuote di Val D’Oise, lo conduceva nella sua dimora. Una villetta liberty nel quartiere Bobigny. Lasciavano i bagagli in garage e poi tentando di non far rumore, <Reneè ha il sonno leggero, lo sai> camminavano a piedi scalzi andando nella cucina del seminterrato a preparare un altro caffè, regolarmente imbevibile, che Ruggero allungava con cioccolata e qualsiasi cosa che lo rendesse decente. Poi lo conduceva nella camera degli ospiti, e lo lasciava spiegandogli ogni volta come accendere il televisore e come regolare l’aria condizionata. Se ne andava assicurandosi che nella camera non mancasse nulla, augurandogli con gli occhi un sereno soggiorno. <Io domani andrò via presto per lavoro, ma Renèe non ha impegni, quindi svegliati con calma senza stress, sei a casa tua> Da loro Ruggero si sentiva tranquillo meglio che a casa sua. Si distendeva su un letto alla francese, spegneva tutte le luci e tentava di dormire. Nel suo intimo ringraziava l’amico di non avergli chiesto “Come mai sei qua? “Che è successo”, “Hai bisogno di qualcosa”. <Ma perché non mi hai avvisato prima?> Si stava quasi addormentando ma uno spiffero di luce si insinuava prepotente dal lucernario, anche ad occhi chiusi riusciva a penetrare le sue palpebre inondandogli gli occhi di luce, una cosa ricorrente che non lo turbava anzi lo rasserenava. Si mise più comodo sul letto osservando i bagliori della luce che si facevano più intensi, fino a sommergerlo completamente. Già si sentiva veramente a casa, con i battiti del cuore che aumentavano il ritmo progressivamente, rimase in attesa. Questa volta non fu necessario aspettare molto; di colpo si raffigurò e si fece presente, intenza forse più che le altre volte e sola. Era la sua stella senza dubbio. I contorni erano più netti ed anche le trasparenze che disegnavano come dei percorsi invitanti. Muoveva lentamente gli occhi tentando di percepirne i confini, immaginandosi qualsiasi cosa conosciuta e riconoscibile. Ma niente era riconducibile alle cose che già aveva conosciuto. Rimase così fino a quando ascoltò un ticchettio nella porta e la voce di Renèe che sommessamente diceva <Ruggero sei sveglio, è pomeriggio inoltrato>. Si svegliò di colpo realizzando che si era coricato vestito, <si rispose, buongiorno Renèe un secondo e sono da te>.

<Tranquillo fai con calma sei a casa tua e lo sai> Si sciacquò appena ed uscì avvolto dalla luce del giorno, Renèe era nel soggiorno aveva preparato dei biscuit alla vaniglia profumatissimi. Abbronzatissima come sempre e con il suo sorriso avvolgente. La salutò con lo sguardo. <Francesco è ancora in ospedale ha un caso complicato, quindi se hai voglia mangiamo qualcosa insieme>, Arianne come una fata vestita di candido bianco si avvicinò di soppiatto, e come sempre gli saltò addosso avvolgendolo in un grande abbraccio. Avevano una unica figlia. Un tesoro. <Zio Ruggero che bello che sei qui, avevamo tutti voglia di vederti> Io di più Arianne sei la più bella nipotina di questo universo e chissà anche degli altri>

<E tu lo zio più dolce, ti dovrò presentare ai miei amici e moriranno di invidia, vedrai>

<Facciamoli morire tutti> concludeva sempre mentre la abbracciava sempre più forte, quasi a fargli sentire i battiti del cuore. Le carezzo i capelli di biondo come le messi la guardò negli occhi e disse <ti ho portato un regalino è nella borsa vallo a prendere>. <Che bello ci pensi sempre scappo a prenderlo subito> Renèe come di consueto si lamentava dalla cucina, che non c’era bisogno, <la vizi troppo>, e tutte quelle cose che le madri dicono per compiacere affettuosamente qualcuno che si vuole bene. Era una splendida famigliola. Molto unita, compreso la bambina che era il fulcro ed il legante di quel rapporto. Però la regina evidentemente era lei Renèe, psicologa da sempre impegnata in molte attività del sociale. Non si risparmiava mai. Semplice senza grilli ma determinata a conseguire i suoi obbiettivi. In primis l’unione familiare. Si erano conosciuti sul lavoro, in un ospedale di Marsiglia dove Francesco era andato per specializzarsi e da allora erano vissuti sempre insieme. Forse invidiava un poco questo rapporto, uno stare insieme che lui non aveva mai vissuto ma molto di più era la gioia era di vederli così serenamente uniti. Renèe insistette ancora per uno spuntino, ma non mangiò nulla voleva restare digiuno per gustare le prelibatezze, che sapeva Francesco gli avrebbe preparato al suo ritorno. Non ci volle molto e quando tornò Francesco trafelato, lo guardò preparare il grill, disossare il coniglio in maniera chirurgica, pronto per preparare il piatto preferito dell’amico; un coniglio grigliato alla Parigina, che poi era una fotocopia del coniglio “[29]lardiato” che si faceva dalle sue parti da sempre. Il trucco era che non doveva mai mancare l’aglio abbondante e la mollica di pane nero. Poi Francesco dandogli le spalle lo approcciò sornione con un tono che usava quando voleva “sfruculiare”, <ed allora amico mio, di questi tempi che ruolo interpreti> percepì l’irrigidimento di Ruggero e proseguì <chi sei adesso, ItalianoAdoravel, Roberto, il Paraense, o Ruggero, fammi capire in modo che se è il caso cambio registro> Ruggero si prese una lunghissima pausa prima di rispondere, sapeva dove voleva andare a parare, succedeva sempre così quando si incontravano; ad un certo punto diventava incalzante voleva capire, oltre l’apparenza, come veramente stava il suo amico. Avrebbe preferito ogni volta cansarlo, non rispondere, o rispondere in malo modo una volta per sempre Lo metteva davanti allo specchio, con garbo ma determinato, e sapeva che lo rendeva vulnerabile. Lo specchio di colpo sembrava rifulgere, con una serie di lampi e con pause di buio oscuro assoluto. Riguardò in un istante la scena della sua vita fino a quel momento, i colori viravano dal giallo al verde intenso, al bianco assoluto a seconda dei momenti e delle situazioni, delle emozioni che aveva vissuto, tentando di comunicargli qualcosa che non riusciva a decifrare per intero.  Rimase assorto a guardare e riflettere tentando di specchiarsi egli stesso nelle trasparenze per decifrare il suo sguardo in quel momento per capire dove i riflessi lo stavano conducendo. Quando realizzò che Francesco lo stava osservando assorto e perplesso; si ricompose ed abbassò gli occhi prima di rispondere, voleva approfittare per continuare a rileggere tutta la sua vita in un istante, trovare delle motivazioni, una logica, delle risposte; ma la luce si affievolì diventando muta ed imperscrutabile.

Si volse verso Francesco e con una voce strana ed un poco rauca che non riusciva a riconoscere, quasi flebilmente disse <Gli esseri viventi tutti hanno come un involucro, alcuni fragile e trasparente, altri di cartone spesso e rigido; durante l’arco di una intera vita tentano di aggiustarlo di adattarselo a sé ed agli altri. >

<Forse quella maschera qualche volta è riuscita a proteggerti da quello che sei stato, ma difficilmente ti potrà proteggere per quello che sarai> si carezzò i capelli fingendo di volerli sistemare, ma forse era un modo per sentirsi presente la in quel luogo nella casa dell’amico e continuò. <Ho provato a cambiare maschera continuamente scegliendo quelle eleganti e più costose negli atelier più famosi, e poi nei mercatini di Dheli, ma non è servito molto; Io te lo giuro ci ho provato anch’io Francesco, ma non sono stato bravo, ho sbagliato sempre genere o misura ed alla fine ci rinuncio>. Quando tacque con un sospiro lunghissimo notò che una margherita stava appassendo nell’angolo del salotto, i petali erano sparsi dappertutto e la corolla non proteggeva più a sufficienza gli stami.

Si doveva fare qualcosa subito per salvarla magari recidendola alla base, magari carezzandola chissà. <Tutti a tavola> urlò Renèe, distogliendoli dalle loro riflessioni; le si sedette al suo fianco e dall’altro sistemò Arianne, il vino era già nel Pichet di cristallo, uno château d’Yquem. Un “Cru” molto delicato che Francesco versò con delicatezza nel calice di Ruggero; Renèe era pressoché astemia.  Sceglieva sempre qualcosa di speciale perché aveva buon gusto ed una particolare predilezione per la Gascogne dove aveva lavorato. Amava naturalmente anche moltissimo i vini siciliani di cui era un esperto; ma alcuni vini francesi specialmente quelli prodotti sulle vigne prospicenti l’oceano li preferiva, specialmente con gli arrosti.  Brindarono come sempre prima di cominciare, con una nota di amicizia gioviale ed affettuosa, Ruggero si sentiva veramente a casa molto protetto e molto libero. Sapeva che le rughe gli stavano quasi scomparendo, con loro non aveva bisogno di fingere o di difendersi, e si rilassava velocemente. Addentò con voracità il coniglio cotto al punto giusto, <Ho aggiunto un poco di menta di bosco> riprese Francesco <mi pare che ci sta al meglio>. Ruggero non si lasciò distrarre e solo dopo che fini il piattò riprese < una preparazione eccellente ed anche la menta si sposa bene, ma la cosa che più apprezzo è l’amore che ci hai messo per prepararlo>. Continuò a rimpinzarsi intanto che Renèe provvedeva con gioia ad aggiungere altre parti prelibate, mentre Francesco degustava professionalmente, poco a poco, ogni singola parte della carne. Ruggero nelle pause faceva ripetere ad Arianne qualche parola siciliana che gli aveva insegnato, che lei attentissima ripeteva con accento pressoché nativo. Dopo la frutta Renèe li guidò in un salottino appartato dicendo <se fate i bravi vi faccio assaggiare il dolce>.

<Facciamo i bravissimi urlava Ruggero, almeno io, non posso rinunciare alle tue prelibatezze> Come sempre arrivò una Saint Honoré preparata da lei ed un rum bianco che Ruggero adorava. Infine si sedette anche lei. <Come va il mondo gli chiese> avvicinandosi per brindare con un Cremant d’Alsace, lo guardava sottecchi aspettandosi sempre la stessa risposta che non poteva mancare.

 Ruggero sollevò il calice per ricambiare e quasi con tristezza soggiunse- <Il mondo è di chi lo ha concepito, cara, appartiene ai suoi scopi, o ai suoi interessi, e noi siamo una variabile indipendente>. Renèe recepiva con lo sguardo al di là delle parole e Ruggero sapeva, che aveva compreso tutto al di là di quello che mostrava. Si soffermarono a parlare ancora del più e del meno per qualche tempo, Ruggero tentando sempre di sfruculiare ad arte il suo amico, <ma tu tagli con il bisturi o con il machete > Francesco scansava abilmente le provocazioni e poi con fare più serioso disse, <Ho incontrato il console del Mali ieri l’altro, non è stato un incontro occasionale, voleva sapere di te, mi ha parlato di quello che stava succedendo in molti paesi dell’Africa ed in specie nelle aree francofone. <Sembra che ci sia un risveglio da quelle parti, come un fuoco nazionalistico sommesso che comincia ad ardere, e che forse ha bisogno di buon carbone per diventare un fuoco permanente, voleva incontrarti ma io sono rimasto vago e lui ha capito bene che non volevo coinvolgerti; comunque siamo rimasti che ci risentiamo presto quando possibile, dipende da te >. Concluse e concluse fissandolo dritto. Ruggero, finse di non aver capito annusando le bollicine, ci fu un’altra pausa lunghissima interrotta ogni tanto da Arianna che ripeteva la lezione di inglese. Tutto in quella casa sapeva di serenità, sembrava l’esempio imperituro della famiglia. Ed ogni volta che li visitava non voleva fare nulla per modificare quella pace. Poi con un lungo sospiro prendendo fiato disse, <Francesco, l’Africa è un continente martire. > ci fu una lingua pausa prima che Francesco aggiungesse come per caso, <Ana Paula anche con parole, diverse diceva le stesse identiche cose dell’America del Sud>. La pausa divenne infinita e Ruggero non sapeva più dove guardare; si soffermò sul vaso di begonie, che sembravano schiudersi e poi risbocciare virando però al giallo paglierino. Era questo uno dei motivi perché per mesi aveva evitato di rivedere Francesco. Per tutto l’affetto che aveva e che era ricambiato abbondantemente, Ana Paula nei loro discorsi era ricorrente; in qualsiasi modo cercasse di ricacciarla negli angolini più reconditi della sua testa, riappariva sempre in qualche maniera, come la luce dell’alba piccolissima che poi riempiva il cielo di gioia. E adesso poggiata di spalle alla vetrata del balcone c’era già. L’osservava con una espressione indefinita, facendo scorrere lo sguardo su tutto il suo corpo per poi spostarsi di fronte a lui, costringendolo comunque a fissarla come ogni volta che si rincontravano, non diceva mai <come stai?>, ma lo accarezzava con gli occhi sommergendolo della sua presenza. Era un bagno d’amore infinito quasi insopportabile. Quando si riprese dopo un poco già era andata via. Percepì che Francesco lo scrutava strano, conosceva tutto di quei momenti. Era stato protagonista del primo incontro nella sua residenza a Covenas. Francesco aveva anche lui un debole per il sud America, ma soprattutto per la Colombia che aveva visitato in lungo e in largo, anche come volontario di Medecins sans Frontieres, quale membro anziano, che era poi un altro dei motivi perché aveva tutta la sua ammirazione. Gliene parlava sempre quando rientrava con molta ammirazione per quella gente e per i luoghi che visitava. Dopo qualche tempo Francesco in una serata di autunno a Parigi accennò dell’incontro Colombiano con Ana Paula, avvenuto quasi per caso in una serata conviviale a Cartagena. Parlava del suo impegno nel sociale e di come personalmente si dedicava alla gente emarginata.

Ruggero che era arrivato la notte prima dall’Italia invitato per il Musical Waters al castello di Versailles, stranamente lo ascoltava distratto, non mostrando alcun interesse e cambiando subito discorso <Versailles si è bella, Imperiale ma vuoi mettere le bellezze che abbiamo in Italia: Caserta per esempio. Egualmente bella ma molto più autentica, senza essere sproporzionata.

 In quel tempo Ruggero era preso da un reportage che stava organizzando per una rivista tedesca in Zanzibar. <Voglio fare delle foto estreme, per rappresentare la bellezza di questo popolo ancor più che i paesaggi>.

Anche se sembrava agli occhi di chi non lo conosceva, frivolo o superficiale, sul lavoro Ruggero era intransigente e severissimo con sé stesso, Pianificava tutto al millimetro, al secondo. Non era un fotografo professionale, era certamente un Free Lance. Indipendente; quando non lavorava su progetti definiti, gli piaceva liberarsi di tutte le paranoie ed esplorare, le persone le situazioni, gli ambienti, si riempiva gli occhi di immagini che rimanevano sue per sempre, poi qualcuno gli chiedeva un report, che lui chiamava Trip Notes. Con la foto riusciva a descrivere le situazioni in maniera autentica, tirandone fuori le emozioni fino all’anima. Ufficialmente era un meta manager despecializzato, come gli piaceva farsi chiamare dai colleghi.

Spaziava dal marketing allo sviluppo dei territori, alla geopolitica che lo affascinava. La fotografia lo prese più tardi, ma rimaneva sempre un hobby. Usava la sua Nikon quando aveva bisogno di immagini non stereotipate, per qualche progetto di marketing su cui stava lavorando e non era contento dei lavori commerciali che gli sottoponevano. Col passar del tempo si attrezzò per farle egli stesso, nei primi tempi con poco successo, poi con sempre più entusiasmo. Riusciva a realizzare anche dei reportage fotografici di grande effetto. Ma non si lasciava mai coinvolgere da mostre gallerie o similari. Riteneva la foto un fatto molto personale, una emozione da vivere in intimità.

Conversò ancora con Francesco sulle problematiche africane, si accorse che era adesso l’argomento che più lo coinvolgeva. I suoi neuroni ormai in fibrillazione, prendevano nota di ogni più piccolo dettaglio e nella sua testa già si disegnava un percorso da seguire. Un filo sottile che poco a poco diveniva come una tela dove Ruggero inseriva riferimenti, ricordi, sguardi e soprattutto gli si presentava davanti in tutta la sua professionalità Marcello, l’altro suo grande amico; L’altro suo riferimento certo quando doveva muoversi per luoghi impervi nell’aria del continente africano, La spalla fedele e la garanzia certa per tutte le stagioni. Sorseggiò per finire l’ambrato che Renèe le porse con attenzione e poi il saluto della buona notte. Ogni volta come un addio. Le tende adesso erano completamente chiuse nel lucernario, Francesco le aveva bloccate con un fermo di rame; un bagliore piccolissimo, sull’angolo in trasparenza, riusciva però ancora a trapelare inondandogli gli occhi, guidandolo nelle atmosfere brumose della notte.  Le nuvole correvano veloci, non riusciva a mettere a fuoco oltre le ombre, solo un puntino luminoso più intenso emergeva ad occidente della sagoma dissolta della luna che lo stava fissando dall’inizio.  Come sempre tentava di andare oltre ma poi la stanchezza lo prese e ci rinunciò. Si addormentò con le ultime immagini del Notaro che celebrava il 25 Aprile al circolo Mazzini.

5 Verso Africa    

Ruggero, Si trovava già da un mese in Nord Africa. Aveva trascorso le ultime settimane in attesa di un Visto speciale definitivo, per avere accesso nei paesi confinanti, vicino all’area critica, per entrare successivamente in Burkina Faso. Marcello aveva fatto un lavoro magistrale con le sue relazioni. Si era mosso come sempre con competenza ed autorevolezza. Ruggero, alla sua maniera, senza alcuna pianificazione preventiva, aveva deciso di intervistare Thomas Sankara, il giovanissimo Presidente, che in poco tempo stava rivoluzionando il paese. Marcello lo aveva intrigato troppo e Francesco aveva aggiunto altre chicche, che lo condussero a prendere una decisione improvvisa, ma determinata. Era partito con i bagagli essenziali, senza avvisare nessuno degli amici più vicini, nemmeno Angela che tentò di chiamare dopo, quando era già in viaggio ma senza esito; alla fine le inviò una mail abbastanza circostanziata, spiegandole che per qualche tempo sarebbe stato fuori per impegni sopravvenuti, , raccomandandole di essere comunque prudente. E che sarebbe ritornato presto. Tutto questo non era assolutamente saggio, ma Ruggero non era saggio, anzi riteneva la saggezza come un velo, non sempre candido, dove si riponevano le responsabilità individuali. Ormai era concentrato solo su questo giovane presidente l’Eroe; se lo era studiato sulle news internazionali. Lo intrigava sempre di più. Voleva conoscerlo e capire esattamente chi era, cosa era e che voleva fare.

Subito appena nominato presidente, Sankara cominciava ad apparire su tutte le cronache geopolitiche del mondo, ma soprattutto si muoveva per costituire una forza panafricana, finalmente indipendente dai civilizzatori.

Giovane colto, intraprendente, determinato. Carismatico. Era arrivato al potere con un colpo di stato nel 1983 all’età di 33 anni, come capitano dell’esercito, e con un programma socialista con cui intendeva sradicare la povertà dal suo paese, e sfidare l’ordine mondiale “imperialista e coloniale”. Inspirato dal ghanese Jerry Rawlins. Troppo forse in quel momento storico, in cui ancora l’occidente considerava l’Africa come una moneta di scambio, e chiamava le popolazioni africane Negri.  Sankara, adorato subito da tutto il continente con poche eccezioni, quelli cioè che ormai al potere in maniera radicata e che quindi non potevano permettersi sorprese destabilizzanti, ma Sankara non era una sorpresa era una certezza. In anticipo sui tempi.

 “Il compagno presidente del Burkina” voleva migliorare il sistema sanitario e l’istruzione, in un paese che era uno dei più poveri al mondo, vivendo lui stesso uno stile di vita modesto. 

L’emancipazione delle donne era un altro degli obbiettivi prioritari. Istituì la campagna “i mariti al mercato” per far comprendere agli uomini le difficoltà delle donne nella gestione della casa e nella cura della famiglia. Ma soprattutto un segnale verso quegli gli uomini che sperperavano i soldi spettanti al benessere del nucleo famigliare, in alcol o prostitute.

 Promuoveva prodotti realizzati in Burkina Faso, aumentando la produzione e il consumo locali. Ma quello che faceva veramente paura era la sua determinazione contro I poteri costituiti Occidentali. <Si> si diceva Ruggero, pensando a voce alta come sempre, <Si veramente un grande, ma quanto lo faranno durare?> In uno storico discorso pronunciato nel luglio 1987 all’Organizzazione dell’Unità Africana (OUA) ad Addis Abeba, Sankara denunciò il debito nei confronti delle istituzioni di Bretton Woods – Banca Mondiale e Fondo Monetario Internazionale – che secondo lui sarebbero stati ereditati dal colonialismo-. Nasce così il Mito Sankara, non solo fra la gente di Burkina Faso ma fra tutta la gente del mondo con idee liberali, che si erano spesi per la dignità dell’individuo animale umano. Il capitano era stato visto da subito, come un eroe dai manifestanti che avevano abbattuto il regime di Blaise Compaore nell’ottobre 2014 e lo acclamavano scendendo in piazza ogni giorno magnificando le sue azioni.

Un’atmosfera che stava contagiando i regimi viciniori che cominciarono a guardarlo con diffidenza, pressati costantemente dai loro “danti causa” occidentali. La goccia ultima che fece traboccare il vaso fu Il suo rifiuto di pagare il debito estero di epoca coloniale, insieme al tentativo di rendere il Burkina autosufficiente e libero da importazioni forzate, gli attirò le antipatie di Stati Uniti d’AmericaFrancia e Regno Unito. Tutti praticamente. Con la sola eccezione di Che Guevara che tentò di supportarlo in qualche modo.  La Francia, nella figura di Mitterrand in specie, non poteva permettersi di avere un eroe di questo spessore in una sua colonia dove comandava da sempre. “Poteva un giovane, ancorché abile politicamente, modificare il corso della storia coloniale francofona nell’ africa degli ultimi decenni??”

<Assolutamente no>, e già negli ambienti diplomatici, ma soprattutto militari e dei servizi, si avvertiva una iperattività per limitare questa variabile impazzita. Spostamento di truppe dai paesi confinanti, ma soprattutto un lavoro minuzioso operato dalla Sdece. I servizi francesi che già in Algeria avevano fatto tanti disastri. Era in gioco non solo il potere su un paese ma la dignità della Francia Imperiale e quindi Sankara doveva essere eliminato.  Il giovanissimo,” trentacinque anni” Iconico e carismatico per milioni di africani negli ultimi tempi dormiva sempre in luoghi diversi.

Si rese conto subito che gli amici fraterni che avevano insieme a lui combattuto nella rivoluzione del 1983, stavano diventando inaffidabili – Ruggero leggeva e rileggeva ogni dettaglio che attraverso tutti i media giungeva in occidente, e quando non bastava tartassava di domande Marcello ed altri suoi amici dell’area. E l’immagine e la figura di questo giovanissimo rivoluzionario non poteva non suscitare la sua curiosità, il suo interesse. <Io a questo lo devo incontrare> si diceva.

Aveva percepito che il nuovo presidente era in costante pericolo; Per questo si innamorò dell’idea di intervistarlo di parlargli, di capire come era veramente fatto.

Voleva a tutti i costi ottenere una intervista esclusiva, un dialogo faccia a faccia, fuori dalla diplomazia. <Pare che negli ultimi tempi sia diventato il tuo chiodo fisso> gli dicevano gli amici. Ed era assolutamente così. Quando si intestardiva su qualcosa lo doveva fare e quasi sempre ci riusciva.

 Arrivò a Ouagadougou con un volo Parigi – Abidjan – F. Houphouet – Boigny -Ouagadougou; quasi un giorno di viaggio con molte ore passate in sale d’attesa ricolme.

L’ultima tratta la più tormentata con un volo locale, un bimotore ad elica che si inerpicava, in mezzo ad una tempesta di sabbia. 

A bordo pochi passeggeri, forse uomini d’affari molto silenziosi, attendevano con ansia lo sbarco. Europei forse, alcuni francesi pochissimi africani.  Non era facile distinguerne la provenienza, parlavano tutti in un inglese stentato quasi a monosillabe; non sorrideva nessuno, anzi sembravano molto alterati senza un motivo apparente. Qualche altro con atteggiamento militare antico, in abiti civili, mostrava il badge evidente, all’angolo della giacca. I controlli all’arrivo erano stati stressanti per le procedure rigorose, ma anche per colpa del caldo torrido africano che invadeva la semplice struttura aeroportuale, in lamiera e senza aria condizionata.

Ottenuto finalmente l’ultimo pass si trovò quasi circondato da giovani militari che vigilavano professionalmente, mischiandosi in mezzo ai passeggeri che si incanalavano verso le uscite.  Si intrattenne in un piccolo bar con la speranza di potersi rifocillare con un caffè africano, ma non avevano nulla e scelse una pepsi, rigorosamente bollente. Dovevano venirlo a ricevere così come d’accordo, con una rappresentanza ufficiale, ma tutto era stato deciso in fretta, con molta improvvisazione già con i funzionari consolari a Parigi, che modificavano i protocolli a piacimento.

Si spostò in una specie di area d’aspetto, mentre la hall dell’aeroporto si liberava e le luci si spegnevano tristemente. Prosciugò le ultime gocce di Pepsi lacrimanti nel bicchiere, il bar stava chiudendo e decise di muoversi lentamente verso l’uscita; ormai era l’ultimo straniero nella zona degli arrivi, aveva appena mosso i primi passi quando avvertì una presenza intensa, percepì l’essenza di un profumo speciale, che già altre volte lo aveva incantato. Un aroma di fragole mischiato, con spezie orientali cosparso di lime, si girò piano mentre il cuore accelerava i suoi battiti e quando la vide nella penombra, fu quasi abbagliato da un fascio di luci che rischiaravano il volto di una donna africana, Sicuramente Peulh. Un sorriso lo incrociò ma soprattutto gli occhi che lampeggiavano, trasmettendogli gioia ma anche serenità. <Ciao, disse in un francese di scuola, sorridendo con una voce calda e rassicurante <sono Dashiane, la tua assistente>

 <Scusa per il ritardo, Ma sono stata bloccata dal traffico. In questi giorni si festeggia la primavera e la città è in totale agitazione.>

<Seguimi continuò ho la macchina fuori. >

E senza aspettare risposta si diresse decisamente verso l’uscita. La macchina non era una macchina come si aspettava, ma una 2CV Citroen del secolo scorso, molto sporca e rabberciata, le portiere si aprirono al contrario cigolando e la valigia quasi non c’entrava.

Lei non ci fece caso, mise in moto la macchina al quarto tentativo e si tuffò nel traffico, di bici, carretti con Mikokoteni, che trasportavano frutta, pullman rabberciati stracolmi e qualche auto più elegante sicuramente aziendale o governativa. Non aprì bocca fino a quando non si inserì in una bretella esterna meno trafficata. Indossava una gonna jeans e una t-shirt nera niente di formale, niente segni di rossetto o ciprie, anzi il volto era segnato da una piccola cicatrice sotto il mento, che le dava una certa grazia. <Sei fortunato a potere incontrare il Presidente> attaccò, <non concede interviste ormai da mesi, specialmente ad occidentali, ma devi avere qualche buon santo nel tuo paradiso>.

<Si> disse finalmente lui,> nella briciola di spazio che lei gli aveva concesso

<Si chiama Marcello, il grande. Continuò a spiegarli le difficoltà logistiche dovute al momento complesso che stava vivendo il paese, mentre guidava veloce sorpassando, anche a destra qualche furgone di ambulanti.

<Non so se oggi sarà possibile incontrarlo, certamente domani sarà più facile> aggiunse dopo avere violentato un semaforo a 5 stelle. Senza dare altre spiegazioni, finalmente si fermò in un piccolo cortile residenziale, in un’area periferica in mezzo ad alberi di acacia ancora verdi. <Ecco questa è la tua residenza>, disse con un sorriso che voleva essere ironico.

Lo accompagnò al primo piano salendo per le scale in legno cigolanti e finalmente aprì la porta senza chiave del residence, che liberò uno sciame di zanzare in amore. <Una reggia> apostrofò Ruggero mantenendo la stessa ironia complice che lei gli aveva concesso. Non era sporco, ma impolverato a causa delle finestre aperte e le tende bucate; e tutto il locale emanava un odore strano come di banane andate a male. Il frigo era vuoto naturalmente. <Per favore domattina la prima colazione non prima delle nove, mi sveglio sempre tardi quando sono in viaggio.>

<Tranquillo, nemmeno il nostro chef è mattutino, normalmente si sveglia nel pomeriggio>

<Benissimo spero solo che non sia francese, non amo i “croissant troppo elaborati”

<Infatti il nostro usa solo banane appena raccolte, ma abbondanti> Ruggero rimaneva incantato dal suo sorriso grande quanto una marina, ma soprattutto della sua capacità di ribattere colpo sul colpo alle sue battute.

 <Ah ecco dimenticavo> aggiunse, <l’acqua calda della doccia non funziona, l’elettricità va e viene e quindi non usare il frigo. Sistemati al tuo meglio> riprese, mostrandogli la camera da letto con un piccolo armadio ridipinto grigio militare. <Il telefono è in fondo alle scale ma non funziona sempre, è meglio usare la radio sul comodino per chiamarmi.> Accertatasi che avevo registrato tutto, con un saluto quasi militare girò i tacchi, e con un ultimo sorriso lo salutò quasi militarmente.

Udì la 2CV balbettare sui cilindri e poi con un ultimo gemito affumato, la vide allontanarsi veloce. Socchiuse gli scuri delle finestre e si distese sul letto che trovò più morbido di come si aspettava.

7.1Attesa intervista SANKARA’

Aveva trascorso una giornata lunghissima, ed ancora non sapeva cosa lo aspettava più avanti. Tentò di addormentarsi, ma nel cortile alcuni cani randagi giocavano a mosca cieca. Socchiuse gli occhi rigirandosi sul fianco, e fu attratto da un disegno come una piantina che al centro mostrava una protuberanza. La bussola più strana che aveva visto. Con un Sud a forma di banana ed il nord a forma di Stella.

A prima vista sembrava una ragnatela, poi però i tratti più forti mostravano una vera stella un po’ inclinata dalla verticale. Chiuse ancora gli occhi e naturalmente i suoi neuroni cominciarono a fantasticare. Cercava nel buio di rappresentarsi la stella in un cielo blu trasparente, la sua posizione rispetto agli altri pianeti, al sole alle costellazioni. Non riuscì a trovare nessun filo conduttore e finalmente si assopì sfinito. Dormì senza interruzioni fino a quando un trambusto di sirene non lo svegliò di soprassalto. Dal balcone non riuscì a vedere nulla, solo un rumore continuo di mezzi, sicuramente militari, e sirene che si facevano spazio nella strada di periferia.

Poi tornò il silenzio, rotto di tanto in tanto da voci di madri che rincorrevano i figli nel cortile o di comari che commentavano, “[30]Za Pippina comu sta stamatina, mi rissiro chi so figghia si fici Zita,”, Ma non riusciva a comprendere tutto, parlavano in dialetto Fulani e identificava appena qualche parola, peccato. Gli argomenti erano simili a quelli che a tempi, non tanto antichi avrebbe, potuto sentire nei cortili della sua terra amata. Poi però i nostri, cominciarono a parlare ostinatamente in italiano, come un segno distintivo, e loro in francese. Si lavò velocemente ed indossò una t-shirt bianca sdrucita. Non ricordava niente degli accordi presi con Dashiane il giorno prima, rimase incerto per un po’ per decidere sul fare. Tentò anche di chiamarla per radio, ma c’erano le batterie scariche. <E vabbè> si disse <il sud del mondo ha ancora qualche problema, organizziamoci e vediamo che riusciamo a fare> Decise di uscire, di esplorare un attimino i luoghi più prossimi, con la speranza anche di incontrare un bar o un bistrot, dove poteva mettere qualcosa sotto i denti. Le scale erano piene di attrezzi agricoli, fece attenzione a scansarli e finalmente fu in strada. Il caldo adesso si faceva sentire sulla pelle e si rammaricò di non avere portato con se un berretto per proteggere il capo. Per fortuna un caldo secco, odiava l’umidità lo facevano sentire subito sporco. 

Sul portone d’ingresso, rimase un poco titubante mentre una comare lo stava osservando curiosa; decise subito di andare verso destra dove alla fine del viale si scorgeva un traffico intenso, quasi tutti veicoli agricoli, o piccoli pullman di città sovraccarichi all’inverosimile, con ragazzi che lo salutavano. Incontrò sul marciapiede, spolverizzato di terra rossa, altri giovani locali che lo guardavano con diffidenza e curiosità, non era facile da quelle parti incontrare un bianco occidentale. E soprattutto Ruggero.  Finalmente dall’altra parte della strada scorse un’insegna scolorita “Le petit bistrot de Adal”.  Attraversò la strada con prudenza, mentre mezzi militari e furgoni agricoli super carichi di Ananas gli sfrecciavano attorno, strombazzando.

Era esattamente come se lo aspettava. Il barista Adal giovane addormentato ed un bancone ripulito con un panno sporco; Gli avrebbe voluto dire <Cumpà per favore fammi una granita ai gelsi e due brioscine col cappello, calde calde> ma invece ha dovuto accomodarsi su quello che offriva Adal. Per fortuna su uno scaffale quasi dimenticato scorse un vaso con miele di “Tapoa” una leccornia, che si fece preparare subito con polenta di miglio locale e “Tiebè.” Divorò tutto voracemente, dissetandosi con una imitazione di gassosa calda. Il barista lo guardava con curiosità e sconcerto, ma Ruggero era soddisfatto. Ritornò in strada che adesso aveva un traffico meno sostenuto per rincasare velocemente. La 2CV si fermò al suo fianco mentre Dashiane gli faceva segno di salire velocemente. Era vestita con una Camicetta “Etoile” di colore rosa che marcava sensualmente le sue forme e la gonna Jeans che conosceva; quando salì gli mostrò lo stesso sorriso accattivante, a cui si accorse non sapeva resistere. Ingranò la marcia con un frastuono di ingranaggi che si sentì fino a Dakar, e si inserì nel traffico scansando pericolosamente i furgoni che si ammassavano negli incroci. <Spero che hai dormito bene>, aggiunse fra una sorpasso al limite ed una imprecazione al motocarro sovraccarico di verdure locali, e non lasciava trasparire se lo dicesse sarcasticamente o era una speranza genuina.

Malhereusement, continuò, stamattina non riusciamo ad incontrare il Presidente, speriamo più tardi”. Lasciò cadere il discorso senza altre spiegazioni e proseguì sulla strada principale, dirigendosi verso il centro di Ouagadougou. Il traffico adesso era formato quasi unicamente di bici e moto. <Non è come tu sei abituato in Europa, però ti mostrerò qualcosa che ti piacerà>, proseguì sfiorando le bici. Finalmente si fermò là dove c’era una grande calca colorata di mercanti locali.

Trovò posto in tripla fila e lei posteggiò in quarta fila lasciando le chiavi attaccate.

Davanti a loro in tutta la sua dimensione sconfinata, il Gran mercato di Ouagadougou, uno dei più grandi dell’Africa occidentale; lo guidò con decisione attraverso un nugolo di venditori che la salutavano. Era praticamente un assalto in grande stile, proponevano ogni genere di cose e Dashiane poi si fermò di colpo davanti a un capanno, dove vendevano bevande locali, chiese “Burkina bè” per due.

Per gli appassionati di prodotti locali “Burkina bè” è una birra artigianale poco alcolica, che Dashiane mi offrì subito prendendola direttamente da un contenitore con ghiaccio per terra.  Gli spiegò, che ogni anno in città, si svolgeva un Festival nato spontaneamente, da una vivace comunità di artisti e cittadini impegnati; un esempio del tipo di cambiamento politico che può essere raggiunto quando le persone si uniscono. Un esempio, non solo per il resto dell’Africa. La manifestazione comprendeva musica, cinema, arte visiva e architettura, e lo invitò per il prossimo evento. Ruggero che ancora tentava di capire cosa mancasse al Burkina bè, si ritrovò immerso in mezzo alla gente di tutti i colori, con lei a fianco sorridendo entrambi, circondati da tutte le etnie africane. Si soffermava a valutare le opere dell’artista più famoso o di quello dimenticato; commentando, interloquendo, intervenendo, contrapponendo vivacemente idee e situazioni; avvertiva a volte che Dashiane lo conduceva sottobraccio; a volte sfiorandolo anche più vicino del necessario, come per sentire la sua presenza fisica. La sentiva fremere, come una puledra alla sua prima vera galoppata sui prati di una collina ricolma di fiori e di profumi, che ogni tanto girava la lunga criniera per rassicurarsi che gli galoppasse al suo fianco.

La confusione al mercato raggiunse il culmine nell’ora di punta, quando arrivarono i “Mkulima”, i contadini delle campagne vicine, quasi tutte donne coloratissime nei costumi tradizionali, portavano al mercato di tutto, dal riso agli ortaggi delle zone umide e naturalmente “Burkina bè” e “Bikalga” una sorta di spezie medicamentose molto aromatiche.  Dopo avergli spiegato le preziosità dell’artigianato locale, ricamato con fili di paglia rinsecchita ed ogni singolo sapore delle “oselle”, gli richiedeva attenzione con gli occhi o con una piccola stretta nel polso, e poi lo riguardava con attenzione, per avere conferma che avesse compreso tutto. Alla fine si diresse verso la 2CV in una pausa di silenzio, e si fece riavvolgere dal traffico. Stavolta in senso opposto, ed infine posteggiando, ancora indecentemente, si fermò poco dopo davanti ad una struttura museale a Laongo. Lo prese per mano e gli fece strada verso l’ingresso, che attraversò velocemente, salutando le guardie in gergo locale. Il sito di Laongo è un luogo molto speciale, strutturato su una mostra di sculture all’aperto. Artisti provenienti da tutto il mondo hanno scolpito, nel corso degli anni, le rocce presenti nel sito, creando una sorta di museo di arte contemporanea a cielo aperto.

Ruggero Si lasciava portare come un bambino, ascoltando le spiegazioni che lei faceva con molta enfasi, guardandolo negli occhi intensamente come volesse convincerlo di più o forse per scoprire qualcosa di lui che ancora non conosceva. Si soffermava un istante e ricominciava, Ruggero aveva perso il senso del tempo ma soprattutto del perché del suo viaggio.

Sankara, adesso era molto lontano quasi un ricordo sbiadito, mentre di Dashiane continuava a sentire un profumo intenso speziato, che lo aveva incantato dal primo momento. Quante altre volte gli era capitato nella vita di lasciarsi guidare senza opporre resistenza? Senza obiettare, come sempre faceva con gli amici per esporre un argomento diverso, quasi sempre in contrasto con quanto tutti gli altri asserivano. <a Ragà non ci avete capito proprio niente, ok adesso vi spiego>, quasi urlava per interrompere tutti col dito teso professorale. Ma quella volta era senza argomenti, senza alcuna voglia di interferire. Gli successe una altra volta solamente, quando andò a trovare sua madre in fin di vita, ed ascoltò per ore la sua storia rannicchiato come un uccellino piccolissimo in un guscio fragilissimo, Ascoltava la sua vita, che lei gli rappresentava senza celargli niente, nei minimi dettagli, con una progressione drammatica. La conobbe in quei momenti per intero, per la prima volta, e pianse insieme a lei con gli occhi brillanti. Stava Sciogliendo il cuore e la sua mente. Forse per la prima volta, come a volersi liberare dei segreti che teneva preziosamente conservati da sempre, che gli porgeva in maniera autentica sul letto di morte; quasi a farsi perdonare da lui, da lui che si sentiva in colpa da sempre per non esserle stato mai vicino. La chiamava per nome e le stringeva la mano con dolcezza sapendo che stavano comunicando momenti di vita, che andavano al di là delle parole, fu per entrambi una enorme liberazione. Una valanga di sensazioni che colmava tutti i vuoti della loro vita; i rifiuti e le incomprensioni, i capricci che come un’esplosione emotiva straripante quasi non voluta, mai cercata, mai richiesta si incastravano finalmente nelle spire incantate del tempo. L’amore è uno scambio di due capricci, diceva qualcuno, ma l’amore materno è semplicemente amore E stavolta non era diverso, rimaneva ad ascoltare con gioia sperando che Dashiane non la smettesse di parlare e di guardarlo come volesse rinchiuderlo nelle sue pupille. Avvertiva un senso di tensione che emanava dalla sua pelle, quasi di inquietudine, che però cancellava con una frase dolce o circostanziata che coglieva completamente la sua attenzione.   Rimasero ancora qualche tempo ad osservare le sculture, e poi con una giravolta lo guardò ancora intensamente e disse. <Bene adesso prendiamoci una pausa> Lo disse con un sospiro lunghissimo, quasi una liberazione che trasmise a Ruggero come un fremito piacevole. Ritornarono in auto e stavolta con più prudenza Dashiane cominciò a seguire il traffico che li portava ancora in periferia, si accorse che seguiva le indicazioni del lago “Louambabi” e tentava di capire dove stavano andando, ma dopo mille giravolte ed incroci ci rinunciò.

Ogni tanto intonava una canzone triste o più melanconica certamente nenie native, che parlavano di madri, di savane, di animali o della vita; dopo qualche pausa respirando profondo riprendeva con voce sempre più sommessa, poi invece dopo avere strimpellato col clacson a tutto il traffico circostante, intonò una canzone francese dolce e romantica. “La chanson des vieux amants”, che stranamente canticchiava anche lui in momenti dolci e malinconici. Quando finì l’ultimo verso, si volse verso di lui con gli occhi lucidi di gioia forse, o di tristezza forse, lo baciò dolcemente sulla guancia. Rimase sconvolto, come mai gli era successo, sentì ardere la guancia come un tizzone ardente. Quella dolcezza così inaspettata lo sconvolse, rimase a guardare lontano il traffico, mentre forse i sui occhi guardavano ancora più lontano riempiendosi di una luce che lo soffocava. Non parlarono più per tutto il viaggio. Poi Dashiane, si inoltrò per un sentiero in mezzo ai boschi, appena largo per lasciare passare una macchina, e dopo qualche minuto arrivarono in una radura di un piccolo villaggio rurale. MAESHANE diceva un cartello arrugginito; prima ancora di scendere tutti i bambini e la gente del piccolo villaggio le furono addosso, la salutavano, l’abbracciavano con altri bambini ed i cani che gli saltavano addosso latrando anche loro di gioia. Quando sollevò con un cigolio, il piccolo cofano della 2CV comparve come una cascata di piccoli pacchi, dove c’erano regali per tutti. I bambini se ne impadronirono immediatamente in festa gridando di gioia, lei li guardava felice e quindi lo guidò in una piccola capanna, aprì con discrezione la porta di paglia e poi gli fece cenno di seguirla dentro, <Ma Mere> disse, quasi sussurrando. Sdraiata su un fianco su un lettino disfatto, in un angolo, stava una vecchia donna, che non si rese conto di loro, < ha una malattia incurabile> non voleva stare in ospedale e vuole morire dove è nata; la gente del villaggio la cura, è la nonna di tutto il villaggio. Le altre donne del villaggio la vezzeggiano, le fanno da mangiare, la puliscono, ed i bambini giocano con lei, morirà presto, ma morirà felice.

Abbracciò la madre con una dolcezza senza fine, poi con gli occhi scintillanti gli fece segno di andare via. Uscirono fuori dalla capanna per raggiungere la 2CV mentre i bambini inseguivano schiamazzando con gioia. Poi l’avvicinò con discrezione Therese, si discostarono un poco mentre parlavano agitati, infine si abbracciarono come per l’ultima volta. <Lei è Therese la presentò, una cugina di mio padre che si prende cura del villaggio ed anche di mia madre per me è più che una sorella maggiore.> Si abbracciarono ancora una volta e poi se ne andarono senza più girarsi.

6 Il LAgo

Arrivarono nel primo pomeriggio in una zona umida lagunare, cosparsa di strutture turistiche, in stile locale non invadenti. Si fermò in riva ad una laguna fra i boschi e lo osservò ancora, per avere certezza che Ruggero stesse apprezzando il regalo. Raggiunsero la radura che si apriva di fronte quasi di corsa e cominciò a svestirsi, cominciando dalla camicetta rosa, che mise subito alla luce un seno rigoglioso e quindi la gonna, poi sciogliendo armoniosamente gli elastici tolse tutti gli indumenti intimi, lasciando intravedere nella luce del tramonto un corpo scultoreo naturale, come si era immaginato già dal primo incontro. Rimase senza fiato, guardandola con gioia mentre si approssimava alla riva della laguna e poi mentre si lasciava immergere nelle acque trasparenti di “Loumbabi”. Tutto si svolse così velocemente, che rimase preso da quella vista come in un sogno non era imbarazzato mentre ancora i suoi occhi la seguivano consapevole che lei era cosciente di come la stava guardando. Si distese sull’erba e chiuse finalmente gli occhi respirando lieve.

Non si chiedeva come era successo e perché si stava solamente godendo la gioia che gli montava dentro, che scioglieva finalmente tutti quei nodi che normalmente lo assillavano.

Ascoltava il rumore lieve delle fronde e gli sguittii degli uccelli che amoreggiavano nella foresta. Quelli certamente non si chiedevano perché, ne andavano in maniera assillante alla ricerca di ragioni per giustificare i loro momenti gioiosi, lo facevano perché gli veniva naturale. Così come lui naturalmente sentiva un’attrazione genuina verso questa donna che non conosceva.  “Non stiamo attraversando un bel periodo in Burkina”, confessò infine, lasciando trapelare una lieve nota di rammarico. Thomas è sempre determinato, carismatico e molto amato dalla gente d’Africa, ma le potenze colonialiste, e quasi tutti gli altri capi di stato, temono le implicazioni di una rivolta generalizzata. Anche quelli democraticamente eletti. Poi naturalmente c’è il problema dei gruppi etnici, che ancora non hanno capito il ruolo che devono avere. Thomas tenta di farli stare uniti. Li chiama ogni giorno per radio, discutono per ore, ma ci vogliono anni, come ben sai, per sradicare la sindrome di Stoccolma. La vittima spesso si innamora del Giustiziere. Alcuni si sentono esclusi, altri vogliono più presenza, un ruolo più da protagonista. Poi ci sono i rivoluzionari, i fratelli e gli amici che hanno combattuto per portare Thomas a questo punto.

Anche loro cercano spazi di protagonismo. Non è malvagità ma semplicemente vanità. Fortunatamente alcuni paesi occidentali ci stanno vicino, non solo apertamente come Cuba, ma altri che larvatamente incoraggiano Thomas invitandolo a non desistere.

Il problema è la piattaforma Panafricana che il Presidente vuole conseguire al più presto e poi le sue dichiarazioni sempre taglienti contro la Francia.  Le pressioni sono pesantissime. Già ai confini si notano movimenti strani di truppe mercenarie, che arrivano alla spicciolata, naturalmente francesi. Hai avuto coraggio a venire da queste parti ed in queste poche ore ho riconosciuto in te una persona “sopra le parti”. Smise di colpo e lo guardò intensamente; ancora una volta percepì una vicinanza intima, come forse non gli era successo mai prima, ma anche una naturale amicizia, una richiesta di aiuto forse o solo di comprensione, di condivisione di una problematica complessa, che gli stava molto a cuore e la turbava.

Poi con un sospiro, accostandosi più vicino, quasi a sfiorarlo, continuò raccontandogli della sua vita della sua famiglia, che l’aveva cresciuta in un villaggio del nord, nelle aree umide, dove già dal primo mattino, trascorreva molto tempo nei boschi a rincorrere gli animali, un piccolo scoiattolo o il Marabù o i Nedge pigmentati e l’Ubara, l’uccello che amava di più, e poi nella casa di paglia a studiare con la sorella maggiore che era stata a Parigi. Imparava velocemente, ed amava le poesie, Vernel, ma anche la storia; anche la storia raccontata dagli altri. La sera, all’imbrunire quando le ombre svanivano nella savana ed il canto degli uccelli veniva sovrastato da quello degli animali più grandi, stava con la nonna che invece le raccontava storie quasi fantastiche degli antenati, eroi come diceva lei, il nonno Abayomi che aveva battuto il rinoceronte, il bisnonno Abena che era arrivato fino al limite del deserto e con queste immagini baciata dalla luna si addormentava furaha. Rimasero silenziosi per un tempo infinito, stavano molto vicini come se l’aria tiepida che li avvolgeva potesse fare da culla, era certo che stavano percependo le stesse cose, ricordi d’infanzia come se avessero delle esperienze e degli amici in comune.

Lui in verità non aveva frequentato molti amici durante l’infanzia né nell’adolescenza, sballottato sempre in città diverse, in luoghi diversi, non aveva il tempo per fraternizzare, come si dice, ma soprattutto di crearsi e gestire gli amici nella complicità tipica dell’infanzia, Così qualsiasi nuovo conoscente se lo faceva amico senza darli il tempo. Da subito lo adorava, gli dava fiducia quasi gli si affidava.

Ma poi finiva tutto e doveva ricominciare e lo faceva sempre con una naturale determinazione. Con la madre invece aveva un rapporto di una intensità speciale. Ammalatasi alla sua nascita, come gli avevano raccontato, si sentiva sempre in colpa delle sue pene. Un rapporto contrastato di odio e amore incredibile e quando la sentiva soffrire, per i suoi malanni, scappava fuggiva dalla sua vista, si rinchiudeva, si nascondeva per tempi infiniti, e mentre tutti lo cercavano nel giardino o fuori in strada, nella campagna e sentiva i richiami preoccupati dei fratelli, del padre, dei vicini si nascondeva di più sotto una pianta di melograno o un buganvillee, e piangeva.

Forse trascorse tutto il pomeriggio a pensare della sua vita, rassicurato dalla presenza di Dashiane, fu il gracchiare della radio portatile che li svegliò entrambi. Si tirò su di colpo e in swahili cominciò una conversazione veloce e concluse con un Amani, come sempre.

Dopo un altro sguardo profondo ed interlocutore, per capire come stavo soggiunse: <Thomas è pronto a riceverti andiamo>. Con la 2cv fumante si arrampicarono su una piccola collinetta nel bosco, fino a raggiungere una radura con un piccolo casolare in legno.

Attraversarono un piccolo porticato con 2 giovani atletici ai lati e gli venne incontro finalmente il Presidente. Abbracciò Dashiane con affetto e quindi si rivolse all’ospite guardando esplorativo negli occhi, “ahh Ruggero, Ruggero.  

 <Quanta strada hai fatto per parlare con un piccolo uomo.” Indossava una divisa sgualcita senza insegne parlava un francese molto elegante ma essenziale, gli sorrise e guardò ancora Dashiane con maggiore affetto, quasi con riconoscenza; Ruggero rimase in silenzio per un poco, sapeva della semplicità del personaggio ma non immaginava fino a questo punto, Inoltre era più giovane di come lo riportavano le foto. Un ragazzo cresciutello con cui giocare a palla in una piazzola di periferia, Era una delle poche volte in vita sua che rimase davvero senza parole. Poggiò la borsa sul tavolo sporco di un pasto veloce e poi istintivamente lo abbracciò.

<Buongiorno Signor Presidente è un onore esserti così vicino ti ringrazio per la tua accoglienza> usò il Tu perché qualsiasi altro modo sarebbe stato falso e inopportuno.

<Desidero conversare con te>, stava prendendo il registratore Panasonic portatile dalla borsa ma lo ripose subito. <Ero venuto per farti una intervista, uno scoop, ma invece adesso guardandoti ho piacere solo a conversare con te se me lo permetti, lo Scoop lo faremo un’altra volta> accettò abbozzando col capo e con un breve sorriso quasi timido e riattaccò <Non lo so se ci sarà un’altra volta Ruggero, la mia vita scorre molto veloce, più di quanto vorrei, non programmo niente, non posso, vivo alla giornata anzi al minuto.

In questo momento certamente sta succedendo qualcosa nel mio paese, ma soprattutto fuori, ormai hanno deciso tutto, lo sento.

E sento anche che non riuscirò a fare tutto quello che volevo per il mio paese, per l’Africa, questo continente ancora immacolato con piccole macchie estranee, chiaro oscure che lo deturpano con delle ferite orrende, ma che possono essere pulite, guarite. C’è la farò?> si chiedeva guardando Ruggero che era totalmente incantato, e continuava:<E’ il mio grande cruccio. Sono diventato presidente solo per questo, per pulire il marcio che si è generato in questi ultimi decenni, ripeto non è difficile. Questo continente è antichissimo Ruggero, non dipende da queste cose recenti, ha superato di tutto nei millenni. Tu sai che da queste parti è stato generato un umanoide, con le sembianze di un uomo. Pensa quanti millenni fa. Pensa come il tempo scorre e muta le cose. Tu Ruggero vivi con un orologio da corsa. Tutto deve succedere subito sennò è un insuccesso, la vita cresce e si evolve con più lentezza, e L’Africa cresce con il ritmo della natura degli alberi, delle sequoie delle montagne del Kilimangiaro con la placidità dei fiumi. Con il ricambio delle stagioni.> girando lo sguardo verso la radura soggiunse: <Non abbiamo fretta, non abbiamo obbiettivi manageriali da conseguire, preoccupati che diversamente perdiamo il posto di lavoro.

Siamo stati fatti in maniera diversa che da voi> aggiunse continuando a guardarlo con calore. <Tutto quello che io non potrò fare, sarà comunque fatto.> Dashiane semisdraiata su una amaca di canne li guardava sottecchi, approvando con una espressione enigmatica sulle labbra, si alzò per sbucciare sapientemente un mango ancora verde, che assaggiò e poi lo offrì ai due amici, ritagliato alla maniera locale. Era freschissimo aspro senza essere amaro, lo gustarono insieme e Thomas mangiò anche la buccia, <E’ ricchissima di vitamine> disse come a rispondere al suo sguardo interrogativo, <e poi non si spreca niente della natura Ruggero. Il Dio che ha fatto tutte le cose, ed anche noi, ci ha permesso di crescere nel significato della natura, ma non ci ha dato il permesso di violentarla o di sprecarla tantomeno di dominarla assoggettandola ai nostri fini> sospirò profondamente ed aggiunse <Vedi Ruggero questo paese, il nostro paese, un tempo rigoglioso e verdeggiante produceva quanto necessario per alimentarci. Dopo, quando qualcuno dei nostri avi, pensò che piuttosto che cibarci di quello che spontaneamente la natura ci donava, poteva essere utile organizzare la natura per renderla più produttiva, cambiò tutto. E tutto il male di questo pianeta comincia da là. Da quel momento, quando sperimentammo che potevamo violentare la natura impunemente per assoggettarla alle nostre necessità non di vita, ma di utilità economica. Abbiamo assimilato la natura ad una moneta di scambio.> disse con una smorfia <La natura come una banconota. Quale violenza più grande, quale abuso più grande, quale brutalità più grande di asservire quello che spontaneamente ti alimenta, ti dà vita e ti protegge. Tutto cominciò in quel momento e non si è più fermato, ed oggi questo paese, una volta rigogliosissimo, soffre la fame.> aprendo le braccia sconsolato. <Ma tutta l’Africa soffre la fame, ma tutti gli umani soffrono inconsapevoli della causa della loro sofferenza, malattie pandemiche, ma soprattutto malattie di malessere. Guardati allo specchio e misura quanto è grande la tua sofferenza; più della mia, perché io ho consapevolezza del mio malessere e tu, anche se dotto non conosci la causa della tua sofferenza. E mai potrai colmare questo vuoto riversando dentro surrogati del benessere. E come disperderli in un profondissimo baratro scuro, di cui non vedi mai un fondo, e che non colmerai mai in questo modo.> Ruggero adesso era entrato in un buco nero più profondo che quello descritto da Thomas. < Anche tu sei una brava persona Ruggero, mia sorella Dashiane me l’aveva detto, mi auguro di incontrati ancora in questa o in una altra vita, adesso devo andare il paese aspetta. Buona vita.> Si fermò con le mani ancora protese in aria quasi a volere rafforzare le sue parole e poi le riunì in segno di preghiera ed andò via.

Ruggero era ormai totalmente preso dalle riflessioni di Thomas, nemmeno i rumori che provenivano dalla foresta vicina riuscivano a distrarlo; poi ancora una volta osservava le nuvole basse che si stavano appressando dalla palude dove tentava di immergere lo sguardo per nasconderlo anche a sé stesso.

Gli succedeva alla stessa maniera quando in autunno al largo delle isole smetteva di pescare e rivolgeva la prua ad occidente, la bruma autunnale montava lieve preparandosi ad accompagnare la luce dell’alba, lasciando intravedere i primi riflessi del giorno. Fermava il motore e rimaneva alla deriva per un tempo che sperava infinito, per non perdere alcun dettaglio di quel miracolo che ogni giorno si rinnovava, e poi come sempre arrivava lei la regina del cielo. Tutto si schiariva ed anche la bruma gli faceva spazio diradandosi come le quinte di un teatro, ed arrivava Lei. L’alba. Ogni volta sperava che quella finalmente fosse la sua alba. Il nuovo giorno della sua vita. Il cambiamento di qualcosa che voleva che accadesse finalmente. Con Francesco non era mai sufficientemente sincero, sapevano entrambi perfettamente che il suo atteggiamento arrendevole, non era mai una resa definitiva. Voleva trovare un involucro nuovo che senza essere una corazza lo calzasse perfettamente senza sbavature, aderendo perfettamente alla sua pelle, alle sue ossa, ai suoi neuroni; che fasciasse il suo cuore e lo riponesse nel suo nido primogenito. In un luogo dove potesse guardarlo gioendo che potesse carezzare senza distruggerlo. Che anche gli altri potessero osservare percepire anche quando era completamente senza difese.

Covenas forse era stato quel luogo. Ogni volta tentava di cancellarlo con un colore nero indelebile, però riemergeva sempre, anche fra le isole dall’altra parte già stava scorgendo le prime palme del Caribe. Chissà cosa pensavano i pirati quando giunsero per la prima volta su questa costa infinita.

Sarà che riuscivano a spartirsi il bottino quando le sirene cominciavano a danzare sulle arcate di Cabo San Juan e Santa Marta cominciava ad ammaliarli con le melodie della Guaina. E quando in cerca di acqua e si perdevano nei meandri del “los Novios” riuscivano ancora a sentirsi Conquistadores; per Ruggero L‘incanto cominciò molto prima.

Gli riecheggiavano ancora le parole di Thomas nelle orecchie, quando sentì la mano di Dashiane sfiorargli la spalla come una carezza dolce e protettiva. Tutti gli argomenti, dalla nigrizia al colonialismo che lui conosceva molto gli erano stati rovesciati addosso con una logica ed una forza stringente, si sentiva trafitto da ogni parola e da ogni dettaglio ed impotente. Ma cosa aveva fatto fino ad oggi per evidenziare nel suo mondo quelle verità storiche manifeste? Di tanto in tanto le aveva certamente sottolineate, ma mai con quell’impegno stringente, perseverato, e propositivo con cui sarebbe stato necessario ed opportuno, perché divenissero una opinione ricorrente.   Piuttosto le aveva esternate forse con forza, in qualche conviviale con amici incravattati alla moda dei radical chic. Tentava anche di tenerli nascosti anche a sé stesso in qualche parte recondita della sua mente.

Era consapevole di non essersi impegnato più di tanto per renderli manifesti e per questo si sentiva in colpa, E Thomas aveva aperto le persiane. La cosa poi che lo sorprese fu non aver capito il rapporto familiare fra Dashiane E Thomas; come aveva fatto a non capirlo? Eppure avrebbe dovuto intuirlo se non dai tratti fisici certamente dal carisma manifesto di Dashiane, così simile alla personalità di Thomas.  Sentiva ancora la mano delicatissima sfiorargli la spalla e la nuca, lo voleva rasserenare, percepiva tutto di quello che gli stava passando per la testa e sembrava sussurrare <sta tranquillo non hai alcuna colpa>. Thomas ormai era andato via da un pezzo, quando avvertì il motore di un’auto che stava parcheggiando rombando. Entrò un giovane militare che discusse agitato con Dashiane in Mossi, Ruggero comprese che stava succedendo qualcosa di grave; Dashiane gli si fece da presso gli spiegò che in città c’erano stati movimenti di mercenari stranieri, e che quindi Thomas ordinava di portare immediatamente Ruggero fuori dai confini, perché Burkina a brevissimo poteva diventare pericolosa anche per lui.  Dillon, il braccio destro di Thomas, era venuto per scortarlo e dovevano fare presto. Si diressero velocemente con entrambi le auto nella sua all’abitazione, scansando il traffico e gli ingorghi sempre più presenti per strada, attraversarono anche i posti di blocco senza rallentare, mentre incrociavano numerosi mezzi militari dell’esercito, che andavano verso il centro a sirene spiegate. Dashiane stava dietro l’auto di Dillon con difficoltà, e non spiccicò una parola. Quando furono in casa chiuse la porta e lo strinse in un abbraccio carnale infinito; Ruggero le chiedeva disperatamente di andare via insieme, ma lei stringendolo ancora più forte gli rispose che doveva rimanere a combattere per Burkina e per suo fratello < La mia missione è Burkina Ruggero, e non posso abbandonare mio fratello, scapperei con te adesso stesso, lo capisci? Ma non posso abbandonare mio fratello, il mio paese. >

<Ma cosa credi di poter fare? Andiamo insieme adesso, Io non voglio perderti, non posso perderti>

<Tu non mi perderai mai, perché viviamo già uno dentro l’altra; Mai> concluse incollandosi alla sua pelle ancora più forte Dashiane. Rimasero ancora così abbracciati, fino a quando da giù Dillon cominciò a pigiare il clacson sempre più insistentemente; si doveva fare in fretta. Raccolse i pochi indumenti velocemente, ed insieme scesero le scale in mezzo alla gente, che commentava preoccupata il frastuono anche di spari che giungeva dalla città. Dillon lo fece salire sulla Jeep militare e senza nemmeno dargli il tempo di un ultimo saluto, si avviò velocemente, con uno stridio di gomme, nelle strade di periferia verso l’altipiano di Guaromo, per raggiungere il confine del Ghana. Era uno dei passaggi frontalieri che si riteneva più sicuro per uscire da Burkina. Viaggiarono per circa 200 Km ed impiegarono più di 6 ore fra strade impervie attraversate da rimorchi agricoli ed animali bradi, Dillon non aveva detto una parola durante il viaggio, ogni tanto si connetteva con la radio, e sempre nella sua lingua madre Mioni, sembrava dare ordini, poi riagganciava. Lo guardava un attimo per capire come stava e dopo una lunga coda, lo lasciò al posto di confine dopo essersi assicurato che Ruggero aveva passato i controlli doganali. Prima di salutarsi gli diede un bigliettino con i suoi numeri ed una mail. <Prova ma non sarà facile contattarmi, si abbracciarono come fosse l’ultima volta ed andò via velocemente.

 Nel piccolo borgo oltre la frontiera, Ruggero riuscì a trovare un camioncino agricolo che gli diede un passaggio per andare a Wa, dove c’era un aeroporto collegato quotidianamente con Accra. Impiegarono cinque ore, costeggiando il Mole National Park. Il traffico comunque era più rarefatto e riuscì comunque ad imbarcarsi su un bimotore di una compagnia locale, che in 90 minuti atterrò ad Accra. Arrivò in tempo per fare un biglietto su un volo diretto a Parigi. Parigi, come la sentiva così lontana Parigi; come si sentiva lontano da tutto il mondo.

L’aeroporto era molto affollato per buona parte da uomini d’affari, li riconoscevi perché quasi tutti portavano il cappello e un orologio importante, era un vezzo del luogo. Accra era une vera metropoli; dietro il grande vetro sulla pista si alternavano gli arrivi, le partenze dei voli interni ed internazionali senza sosta, che riuscivano a distrarlo un poco. Malgrado il brusio di sottofondo dell’area partenze, finalmente riuscì a chiudere gli occhi. La prima cosa che vide erano i suoi occhi. Uscivano fuori da una nube di fumo in mezzo la sterpaglia, <Dove sei?> le chiese sottovoce, sperando che non lo sentissero, lei sorrideva a modo suo, ma non rispose, piuttosto lo rassicurò. <Non sarei dovuto andarmene> aggiunse, mentre l’immagine diveniva sempre più sfocata, fino a quando l’altoparlante lo distolse ancora annunciando che il gate per Parigi era aperto- Raccolse il poco bagaglio a mano rimastogli e si mise in coda con un gruppo di manager sicuramente diplomatici, A bordo, essendoci pochissimi passeggieri riuscì a sistemarsi in fondo alla carlinga. Chiese alla hostess che non voleva essere disturbato, e sperò di potersi finalmente assopire per qualche ora, durante il viaggio. Durante il decollo sotto di lui Accra scorreva infinita, moderna ed elegante. Circondata dal verde tropicale e da deliziose lagune a forma di cuore era una vera metropoli dell’Africa Occidentale.   Quando cercò le mentine speziate   nel taschino del giubbotto vi trovò appiccicato un bigliettino spiegazzato, scritto a mano. [31]< Tu as été pour moi comme la pluie et le soleil comme les larmes de lune qui viennent éclairer mes yeux et comme les rayons du soleil qui me rendent heureuse. > La melanconia lo avvolse totalmente <Dove sei? dove sei? dove sei? > urlava mentre attraversava un tratto paludoso nella foresta di mangrovie. Chiedeva agli indigeni, che incontrava con il carro colmo di ananas ed alla signora che si dirigeva ai pozzi a fare scorta di acqua. Poi raggiunse un bivio, un solo cartello indicava la direzione per Diantubu, la zona mistica dei Peulh, Un sentiero appena accennato in mezzo all’erba alta, chissà da quanto tempo nessuno l’aveva percorso. Gli si fece di fronte un leone anziano. <Fermati gli disse straniero, queste terre sono sacre. Non ti appartengono e prima di avanzare devi purificarti nella cascata dei diamanti.>

La voce dell’hostess gracchiante lo svegliò di soprassalto, annunciava che erano in fase di atterraggio a Parigi e di allacciare le cinture. A bordo c’era una malcelata euforia; anche per i viaggiatori abituali l’atterraggio è sempre una liberazione. Guardava sfilare i passeggeri con la ventiquattrore di pelle: sono quasi tutti manager pensava che andavano a trovare i parenti la moglie, l’amante, il figlio il lavoro chissà. <Ero molto preoccupato per te gli disse Francesco> appena in macchina, l’aveva raggiunto subito appena chiamato. <Anzi ero preoccupatissimo, abbiamo sentito dei movimenti che stanno succedendo in Burkina>. Ruggero con gli occhi ancora affaticati, tentava di incontrare il sentiero che portava alla cascata, ma c’era il traffico che lo disturbava, e la voce di Francesco che continuava a raccontargli come Renèe preoccupatissima, avesse chiamato l’ambasciata francese a Burkina, dove stava suo fratello, mentre lui stesso aveva contattato Marcello ma senza esito. Quando furono a casa si diresse direttamente nella doccia dove rimase per un tempo infinito. Aveva bisogno di pulirsi dopo quasi quattro giorni di viaggio, ma soprattutto di pensare. E poi non voleva affrontare Francesco ed anche se era affamato di notizie di Burkina, avrebbe preferito cadere in un oblio per qualche giorno, prima di decidere cosa fare. A tavola Renèe aveva preparato delle entrecôte con insalata, ed il solito rosso, ci fu un momento di silenzioso imbarazzo quando la bambina cominciò ad interrogarlo come al solito. < Ed allora zio Ruggero che ci racconti di questa vacanza? > Tentò di sviare inventando momenti e situazioni gioiose, e poi quando l’atmosfera si distese chiese a Francesco di aggiornarlo su Burkina; quindi spiegò sinteticamente quanto aveva vissuto, evitando di parlare di Dashiane. Ne accennò solo quando gli spiegò di avere conosciuto la sorella di Sankara, e ad ogni domanda su di lei si nascondeva su situazioni elusive.   Renèe spiegò, che aveva telefonato fino a poco prima ai suoi parenti che lavoravano nell’area diplomatica, per avere notizie fresche sul paese; anche Francesco aveva mosso le sue amicizie, però senza molto successo e nemmeno era riuscito a contattare Marcello. Le novità erano che Burkina aveva ritirato i propri diplomatici da molti paesi occidentali; in primis naturalmente la Francia. Si erano susseguite poi diverse dichiarazioni dei vari attori politici europei e non, anche dello stesso Mitterrand che in una intervista descriveva Sankara come un uomo che disturbava la pace e la democrazia. <Ma come hai fatto ad arrivare in Ghana> gli chiese poi Francesco per la terza volta, <Ho avuto la fortuna di noleggiare un mezzo e quindi di spostarmi facilmente, Francesco capiva che c’era qualcosa di non detto ma non insisteva anche perché percepiva la stanchezza dell’amico che non dipendeva solo dal viaggio. Quando lo informò di botto <non ho alcuna intenzione di pubblicare alcuna intervista su Sankara, non ho nemmeno una foto di lui>, Il mistero si fece più fitto. Ritornò di nuovo nel suo rifugio quando Renèe insistette perché riposasse. Non riuscì in nessun modo a vedere la cascata e si addormentò.

Quando rientrò in Italia era già pomeriggio avanzato, si rifugiò direttamente a casa sperando di non incontrare nessuno. Accese subito la televisione, affamato di notizie ma non funzionava quindi cercò notizie sulle onde corte di una vecchia radio. Il caso Burkina veniva dato fra le brevi come una scaramuccia di paese. Tentò di chiamare ancora Marcello, ma senza esito. Conosceva il suo lavoro e sapeva che a volte poteva rimanere in missione nei compound anche per settimane, totalmente isolato ed in assenza di collegamento. Quando decise di distendersi nel suo letto disfatto, percepì uno scalpiccio nelle scale e quindi qualcuno che bussava nervosamente e ripetutamente alla porta; <ma chi può essere a quest’ora a rompere le scatole> si trovo davanti Angela molto agitata e scapigliata che lo affrontò subito, come se si fossero lasciati un minuto prima. <Tu ti dissolvi e poi riappari tranquillo, come al solito,> lo aggrediva come un torrente in piena, <te ne vai in vacanza senza avvisare e ricompari bello placido e tranquillo>

<Ma non è vero> tentava di interloquire Ruggero senza esito. <Ti avevo chiesto di starmi vicina e te ne sei fregato. Qua le cose stanno precipitando ed io ripeto ho bisogno di te>, era estremamente agitata. Voleva informarla delle ultime settimane africane, ma lei ricominciò subito <mentre tu eri in vacanza al circolo si sono dimessi, due grossi personaggi il giudice Tiritto delegato all’ area fallimentare e l’architetto Gianelli, perito del tribunale.

Fece una pausa perché lui memorizzasse i nomi, <Stranissimo perché erano arrivati da poco e si erano raccomandati anche col vescovo per essere ammessi> altra pausa con le mani aperte per sottolineare l’importanza dei personaggi;  < Ma quello che invece è molto più grave è che la procura ha aperto un’inchiesta sul suicidio del commercialista, il parente del notaro> continuava con la stessa foga per scaricagli addosso qualsiasi notizia, e qualsiasi colpa, come per liberarsi di tutto quanto le era successo in tutti quei giorni che Ruggero era stato in viaggio Infine aggiunse che il nipote, unico parente prossimo, oltre che discepolo attaccatissimo e consocio nello studio, aveva chiesto alla procura, di riesumare la salma per operare una autopsia sul corpo del suicida. <La moglie Claudia si è opposta> concluse con una nota acida.  In una intervista aveva anche spiegato di avere parlato con lo zio poche ore prima della morte, e che lo aveva trovato di buon umore; anzi gli aveva parlato di un progetto che dovevano fare insieme. Non poteva così di colpo e senza ragioni suicidarsi ripeteva il nipote agli amici ed alla procura.

 Angela insisteva nell’accerchiamento, lo aggrediva da tutti i lati per metterlo con le spalle al muro, e ci riusciva.  Ruggero era senza difese, tentava di svicolare in tutti i modi ma la morsa era ferrea e tenace. Si soffermava ad osservare come si alterava il suo volto ad ogni suo più tenue tentativo di quietarla, mentre le sue labbra si avvitavano ed i suoi occhi scintillanti passavano dal verde smeraldo intenso al rosso pompeiano; il suo seno abbondante sobbalzava ad ogni suo gesto, forse magari lo stava usando per attrarre maggiormente la sua attenzione; <doveva avere un reggiseno a cupola molto ampio pensava>, ma in questo modo lo distraeva di più; Ad un tratto si rese conto di non esserci più; si sentiva come all’esterno di un set dove la scena continuava a girare davanti a lui, ma lui la stava guardando da fuori; poteva vedere tutti i dettagli: le persone lui stesso, e muovendo gli occhi poteva spostare i fotogrammi avanti e indietro, la poteva rivedere, ma non poteva modificarla. Angela ancora parlava ad alta voce, puntandogli il dito con fare quasi violento per convincerlo e lui quasi arretrava; poi la luce quasi si oscurò e gli si presentò riverso in un divano il viso del suicida, rimase impaurito. Gli si parava davanti in piena luce, come dal vero, la stanza dove il commercialista si era suicidato, le finestre aperte, le tende che sbattevano una piccola luce che entrava dalle persiane, ed un odore acre di polvere da sparo.

Era adagiato in un modo innaturale, come se fosse caduto da qualcosa; il viso affondato nello schienale, del sangue che si intravedeva sul cuscino del divano. Una mano che sfiorava quasi terra, l’altra non si vedeva. Sembrava come un sacco pieno di foglie secche rivoltato. Angela dovette stringergli forte i polsi per farlo ritornare, lo guardava stranita, <ma insomma mi ascolti o sei ancora in vacanza?> esclamò molto adirata. Ruggero le sorrise con dolcezza le prese le mani e la baciò sulla fronte a lungo, fino a quando la sentì rasserenata. <No, nn sono in vacanza, sono qua con te e mi dispiace di non esserti stata vicina come avrei voluto>Gli raccontò velocemente cosa aveva fatto in quelle ultime settimane omettendo molti dettagli, dilungandosi nella descrizione dei paesaggi africani; le savane, i mercati, l’atmosfera tropicale, con lo stupore e quasi invidia di lei. Le disse infine che era molto preoccupato per Sankara, che ancora non aveva nessuna notizia rassicurante che aveva tentato di contattare Dillon, non le parlò di Dashiane, ed infine ritornò sull’argomento a cui più teneva Angela, il suicidio del commercialista e le dimissioni degli altri soci del circolo. <Bene facciamo il punto con calma; certamente lì dentro è successo qualcosa di molto strano. > e poi aggiunse. <Nemmeno io sono convinto del suicidio di Del Prete, non era il tipo, e poi a parte la tensione che ho avvertito l’ultima volta che l’ho incontrato, mi è sembrato assolutamente sereno, un po’ tronfio, per il ruolo che svolgeva per i notabili locali ma sereno>. Del Prete era infatti un professionista arrivato. Ed anche benestante. Non aveva un buon rapporto con la moglie, lo sapevano tutti a causa delle sue preferenze sessuali, come diceva la gente; mentre la moglie, era risaputo, era molto libertina stava con qualcuno del circolo, si diceva, ma al di là delle chiacchere non c’era niente di certo. La signora del Prete era molto piacente ed un poco tutti ci avrebbero provato, ma lei sembrava avere una meta precisa, era figlia di quella borghesia arrivista, e sceglieva solo per interesse, pensava. Qualche volta Ruggero, nonostante l’avvenenza che ostentava, pensava invece che potesse essere totalmente asessuata.

  Le immagini si aggrovigliavano nella sua testa e si fermò un attimo per prendere fiato, mentre Angela non smetteva di assaggiare, come diceva lei, i cioccolatini delle suore di S. Martino. Li aveva divorati praticamente tutti. Ne prese uno anche lui spinto dalla ingordigia con cui Angela li divorava, poi riprese con tono quasi accademico. <La signora del Prete, aveva saputo nascondere bene la tresca, anche se le amiche del circolo chiacchieravano di un rapporto con un giovane manager, le buone donne non erano riuscite ad individuarlo> E lì approfittò per sottolineare, come una coincidenza, che il giovane presidente di Bancafin, che era vissuto quasi sempre al nord, era rientrato da pochi anni e a quanto si sapeva non aveva alcuna relazione ufficiale.  La banca venne fondata in pochissimo tempo, appena qualche mese dopo il rientro del manager.

<L’apertura di un nuovo istituto di credito è sempre un fatto importante specialmente in una piccola cittadina del sud>, spiegò ad Angela con tono pedante, < Ed anche gli addetti ai lavori mi sono sembrati molto sorpresi >

<Si anche io ho avvertito questa atmosfera specialmente al Circolo> aggiunse Angela

< Nessuno ha ancora capito poi di chi sono i capitali; chi ha contribuito alla dotazione del capitale sociale> Ruggero muoveva in progressione le dita come scorrendo un libretto di appunti. <All’inaugurazione poi non ha partecipato quasi nessuno dei personaggi noti della cittadina, si è svolto tutto in maniera molto dimessa, quasi senza pubblico>.

<In maniera quasi anonima aggiungerei io>-<non ti ha meravigliato Angela? e cosa ancora più strana cominciò ad avere da subito una numerosa clientela.> e poi come volere ripassare i passaggi salienti in progressione continuava a sottolineare che Il presidente era proprio lui: Giuseppe Davantali, figlio di un imprenditore locale in pensione con un trascorso chiacchierato. Anche su questo naturalmente il chiacchiericcio nella cittadina non mancava, come sempre. Ma chi avrà messo tutti quei soldi? I milanesi sicuramente, si diceva, che vogliono investire al sud; fra i locali non c’era nessuno in grado di farlo? O forse sì. E li esplodevano altre congetture, che comunque non portavano a nulla di concreto. Nella sostanza, né la tradizionale borghesia locale, che aveva i capitali appena per mantenere i latifondi e gli immobili di famiglia, né, tantomeno, la nuova borghesia avrebbero potuto raccogliere fondi sufficienti, necessari per la costituzione di una banca. Si soffermò poi a pensare come una stranezza, che quasi tutti i componenti del circolo fossero divenuti in poco tempo clienti del nuovo istituto, e che anzi in maniera non proprio velata ne promuovevano l’iniziativa. <Una struttura solidissima, sentivi ripetere in tutti gli ambienti, affidabile e professionali, > anche da persone che nemmeno sapevano come funzionasse una banca. Si fermò un attimino per assaporare un calice di vino, che Angela nel frattempo aveva preparato, e quando stava pe riprendere fu ancora interrotto da lei bruscamente. <La brutta notizia che aspettavo a raccontarti è che il mio editore mi ha licenziata>. Lo disse tutto di un fiato guardando verso la finestra per nascondere tutto il suo dispiacere. Anche Ruggero rimase stupito, ed ebbe un modo di disappunto evidente, e quando le stava chiedendo le motivazioni, lei riprese <settimana scorsa mi ha fatto chiamare dal direttore, che su due piedi mi ha indirizzata alla contabilità dove era pronto l’assegno per il lavoro fatto fino a quel giorno. Licenziata causa diminuzione del personale>

<Mi ha licenziata punto e basta> concluse con una nota di tristezza, ed anche con una richiesta di solidarietà evidente. Per Ruggero quella era l’ultima cosa che si potesse aspettare, ma in quella città poteva succedere di tutto. Il potere in quella parte d’Italia si muoveva come dappertutto, lui lo chiamava comparaggio finanziario transnazionale. Ma forse sarebbe stato meglio non chiamarlo in alcun modo, era semplicemente uno schifo. <[32]Cumpà senti amu a fari sta cosa t’aiutu iò, un ti preoccupari pi picciuli,>

<Ok no problems> I soldi sembrava non essere mai un problema. Il problema era mettere insieme i compari. In altre parti del mondo si chiamava, Lobby, Massoneria, Camorra, Mafia. Ma era sempre lo stesso film. Visto, rivisto, stravisto da sempre. Un gruppo di persone di cultura omogenea che si metteva insieme per padroneggiare qualcosa; altre persone, un territorio, l’impresa, gli affari.

E poi dà la in maniera lieve o cruenta si costruiva la rete che gestiva gli interessi. Nel sistema, qualunque esso fosse, erano presenti la finanza, la politica ma anche la manovalanza che serviva per sistemare qualche cosa; gli aggiustatori, se ti serviva qualcosa loro aggiustavano. Ma ne facevano parte anche personaggi assolutamente irreprensibili, professionisti, dirigenti e una parte periferica della magistratura. Un sistema così burocratizzato come quello italiano scaricava al sud tutte le sue inefficienze, al punto che cercavi una raccomandazione, o ti rivolgevi ad un amico utile anche per fare il contratto della luce, o per fare accelerare la tua visita all’ospedale del territorio. <Dimmi una cosa, ma tu lo conosci l’assessore, il ragioniere del comune, il portiere?>, sentivi dire E se la risposta era affermativa <che fai mi fissi un appuntamento>. E tutto questo succedeva anche per le cose più banali. Il film però non aveva sempre un lieto fine per i compari, perché la manovalanza spesso diveniva essa stessa il gestore della paranza. E tutti quanti divenivano loro stessi dipendenti della manovalanza. Cambiavano gli attori ma il copione rimaneva uguale. Certamente in città era successo qualcosa del genere, che poi magari era esistita da sempre, ma adesso sembrava più razionalizzata e meglio organizzata. C’era da capire però, a questo punto, chi erano al momento i manovali e chi i paranzari. Chi era al momento il regista di quel film. Stava ancora riflettendo quando Angela lo chiamò al cellulare dicendogli che stava arrivando, e che portava qualcosa per fare uno spuntino insieme. Ma come non si era nemmeno accorto che era uscita? Fece velocemente una doccia freddissima, ed accese la Tv con la speranza di ascoltare qualche buona notizia su Burkina, ma le news anche internazionali non riportavano nulla. L’africa era lontana per gli italiani, troppo lontana e non suscitava interesse. Aprì ad Angela poco dopo, che teneva in mano quello che lei chiamava qualcosina per colazione; Praticamente una tonnellata di pacchi e pacchettini di pasticceria profumatissimi. Sistemò velocemente la tavola, e depose tutto in ordine di entrata, compreso le bevande. Lo guardò ancora e ripeté ironica con un buffetto sui capelli< ti ho portato qualcosa per la colazione>. Ruggero la guardò con un sorriso malizioso e poi le disse. <Alzati un poco> e quando lei fu in piedi con i pantaloni jeans attillati, <adesso girati, girati di nuovo davanti fai vedere il dietro> ed infine quasi sbuffando.  <Ma io vorrei sapere dove la metti tutta questa roba che mangi, ma come sei senza fondo?>, lei sorrise senza adirarsi, che già stava addentando voracemente un cornetto con ricotta e cioccolata. E poi insolente disse <se vuoi posso alzarmi anche la gonna.>

<No la gonna no che sono senza occhiali>; giocavano sempre così senza mai offendersi o irritarsi, perché infine sapevano di essere uniti da un affetto ed una stima che travalicava qualsiasi allusione. <Bene adesso lavoriamo> esordì Ruggero, quando fini di mangiare la seconda brioche con una granita di gelsi celestiale.  <In primis, oggi trasferiamo tutto il tuo materiale qua da me, ti prendi la scrivania la nell’angolo, che io non sto usando, e fino a quando non troviamo un’altra soluzione ti puoi sistemare qui da me tranquilla, trasferisci tutte le tue cose e gli archivi che avevi in redazione>. Poi evitando lo sguardo sbalordito di lei aggiunse: <disponiamo di un ottimo collegamento WIFI e puoi collegare anche la stampante, se la sai fare funzionare. Non ho bisogno di dirti che puoi stare qua notte e giorno>

<Ma come? Non voglio invadere la tua casa, assolutamente non se ne parla>

<Non invadi niente Angela sei a casa tua> e poi aggiunse: <A proposito volevo dirti una cosa che ce la siamo detti mille volte con gli occhi. Tu mi piaci tanto, anzi tantissimo ed anche io ti piaccio >, lei divenne quasi rossa non l’aveva vista mai con un viso cosi disarmante, <però noi abbiamo già deciso da tempo che è molto meglio rimanere amici come siamo, più che fratelli e sorella, evitando di allargarci su altre tematiche, forse belle per un poco, ma che magari alla fine rovinano l’amicizia e la stima che siamo riusciti reciprocamente a generare fra di noi> continuò, <quindi puoi stare in questo posto quando vuoi notte e giorno, non girare troppo nuda, non usare le mie asciugamani i miei pullover, il mio spazzolino, né le mie mutande, non infilarti nel mio letto perché amo dormire da solo. E puoi fare dunque tutto quello che vuoi.>

<Nemmeno il tuo rasoio immagino>

<Soprattutto quello, non lo lavo mai e morde>

Fu peggio di una scarica di adrenalina, la vedeva diventare di mille colori; mentre lui parlava, tentava di interromperlo, forse voleva anche morderlo ma alla fine si calmò.

Riprese fiato e contegno <Ruggero tu mi stai chiedendo di vivere qui a casa tua fino a quando non trovo un nuovo lavoro; ma lo sai che possono passare mesi? ti rendi conto che > non la fece finire di piroettare, le prese le mani stringendole forte con affetto la guardò negli occhi e le disse in maniera definitiva <si ti sto chiedendo questo, adesso lavoriamo. Punto> Dopo avere sistemato i resti della colazione nel piccolo frigo, raggiunse Angela nel salottino le sedette di fronte e riprese aggiornandola di quanto avevano discusso con Gianni, aggiungendo altre sue considerazioni.

Entrambi convennero che non solo il suicidio era inverosimile, ma che la Paranza era molto più ampia di quanto loro stessi potessero sospettare. Angela gli condivise infine le informazioni che aveva raccolto in quelle ultime settimane, che riguardavano l’inchiesta, che poi non era stata più pubblicata. In particolare si era concentrata proprio sui due magistrati, che riteneva avessero un ruolo tangibile e determinante in quel film arabescato.  <Il primo, il Dottore Tiritto proviene da una famiglia benestante romana, è separato dalla moglie e non intrattiene apparentemente nessun rapporto con nessuna donna da 2 anni, al punto che qualche malalingua chiacchierava potesse essere gay>.

<Sarà astemio soggiunse ironico Ruggero> Ma anche su questo non era riuscita a raccogliere alcuna informazione oggettiva. Si tratta sempre di chiacchiere da bar Curtigghiu <Il secondo Giudice Morello, invece è un fimminaro, come chiacchera la gente; anche lui separato gli si attribuiscono moltissime relazioni forse troppe; alcune in conseguenza del suo ruolo soprattutto con colleghe, avvocatesse, studentesse in formazione, ed anche clienti. Fa una vita molto, molto agiata al disopra dei compensi stessi elevati che riceve dalla sua carica.>

<Prossima vita farò il Magistrato> disse ancora ironico Ruggero. Angela continuava a memoria; <Auto sportive che cambia ogni anno, viaggi costosi e poi si sussurra che ama anche giocare a carte in luoghi fuori città in maniera pesante; ed infine che ha anche una predilezione per le ragazzine.>

<Lo schifo non finisce mai> soggiunse Ruggero

<Anche se i colleghi subodorano qualcosa, nessuno ha il coraggio di esporsi visto i collegamenti del personaggio. Infine c’è un’altra cosa eclatante che è successa nella tua assenza, la TrustInvest, è stata dichiarata fallita proprio in questi giorni. Un avvenimento che per la dimensione dell’azienda e per i personaggi coinvolti ha fatto parlare tutta la città.>

<Chi l’ha dichiarato fallita> chiese Ruggero

<Il giudice Tiritto ed un suo collega che hanno sostituito da poco i magistrati precedenti. Con una efficienza stranissima, in poco tempo hanno chiuso una vicenda che era aperta da anni, ed in pochi giorno hanno dichiarato il fallimento.

<E chi hanno nominato Curatore>

<L’avvocato Perulli> rispose Angela, <come sempre in questi casi> Chiuse il taccuino da cui aveva tratto i dettagli e rimasero entrambi in silenzio. Ruggero era molto perplesso e quasi sconfortato, non se l’aspettava. Aveva seguito la vicenda di TrustInvest, fin dagli inizi gli era sembrata una forzatura e non solo a lui. L’azienda con tradizioni antiche era estremamente solida con rilevanti immobilizzazioni. Solo nell’ultimo anno a causa di investimenti in borsa andati male, per colpa della recessione internazionale, aveva vissuto momenti di liquidità critici, come moltissime altre aziende del settore. Ma certamente a detta degli esperti rimaneva molto solida. Aveva chiesto l’amministrazione controllata, che era stata affidata a Del Prete, ed a detta di tutti anzi sembrava si stesse riprendendo. <Davvero inaspettato il fallimento dichiarato. Una decisione strana ed illogica.>

<Ti sembra proprio così illogica> disse Angela. No pensava Ruggero assolutamente no; anche perché tutti, addetti ai lavori e non, sapevano benissimo a chi potesse giovare un fallimento e chi poteva rilevare un’azienda del valore di decine di milioni di euro, messa poi all’asta per quattro spiccioli. Ancora una volta la magistratura che gestiva quella materia sembrava incompetente o complice di qualcos’altro a cui non voleva pensare.

 Era comunque soddisfatto delle notizie raccolte da Angela con cui concordava. Era come se insieme con logiche diverse, stessero riscostruendo la rete sottilissima che legava alcuni personaggi della cittadina, mettendo insieme le informazioni che avevano condiviso, e che poi fossero arrivati allo stesso risultato. Da quanto emergeva dalle cose dette, La paranza esisteva eccome, ed ancora una volta si chiedevano quanto fosse ampia, per non essere esplosa nella sua evidenza. E di nuovo si dissero. Ma quanti ne sono coinvolti, chi era compromesso al punto da consentire che sotto i loro occhi si girassero le scene di un film in esterno, di cui nessuno sembrava comprenderne la trama. Poi Angela riprese, <ed il Notaro, che ruolo ha in tutto questo? si atteggia in pubblico ed in privato come un vero capo paranza, e certamente ha un ruolo chiave in molte cose, ma lo è realmente o anche lui è una comparsa?> Ruggero, se lo era chiesto anche lui molte volte.  Un politico dalle nostre parti, pensava, necessariamente deve intrattenere rapporti cordiali con tutti, deve essere come si dice “Vasa Vasa”, non se ne può esimere, diversamente decadrebbe subito. Ma lui il Notaro, fino a che punto lo faceva per mestiere e fino a che punto invece per altre ragioni più subdole?  La sua storia era tipica di alcuni personaggi dell’alta borghesia locale che frequentava il circolo. Il giorno della laurea la sala era stracolma di amici e parenti elegantissimi, Veduto l’esito dell’esame generale da Lei sostenuto conferiamo la Laurea di Dottore in Legge ad Alvaro De Marzio, recitò il Presidente della commissione universitaria. Applausi a scena aperta, nessuno fece però caso che il punteggio datogli era il minimo: sessantasei su centodieci. La carriera di Alvaro continuò allo stesso modo, fino ad ottenere il titolo Notarile dopo qualche secolo ed una infinità di pressioni, incluso un praticantato fatto presso parenti ed amici, nasce il Notaro.  Non fu meglio negli anni a venire, non aveva le competenze, né tantomeno la voglia di esercitare una professione così accademica, era più portato con i rapporti fra la gente. Entrò già da giovane in una coalizione politica e dopo avere percorso tutti i passaggi obbligati della politica: dall’amministrazione locale, alla provinciale   e regionale, dopo qualche anno, come secondo eletto in una lista politica nazionale, divenne ufficialmente un onorevole Nazionale. Da quel momento, senza aver fatto nulla di particolare per il suo territorio, non ha lasciato più lo scranno a Montecitorio dove vi è rimasto attaccato, cambiando anche colore politico più volte. Sempre eletto e rieletto molto spesso primo della lista. <Come mai si chiedeva la gente>, ma ad essere onesti non se lo chiedeva. Non era il solo sul territorio ad essere titolato senza alcun merito. Qualcuno però avvertiva qualcosa di anomalo nel suo comportamento, non solo riguardo il Circolo ma anche per alcune frequentazioni di cui si parlava a voce bassa nei salotti più intimi: Malaffare? No, di più. In particolare facevano specie le sue forti frequentazioni con l’area della magistratura locale e nazionale. Ma molto faceva anche parlare il suo rapporto con ambienti, della società territoriale e nazionale che spesso erano sulle cronache per fatti eclatanti finanziari o di corruzione, legati agli ambienti cosiddetti mafiosi. <Un atteggiamento normale per un politico in Sicilia> sostenevano gli amici di Ruggero, quando si entrava in accese discussioni sulla politica locale. <Forse è anche un atteggiamento nazionale> rispondeva Ruggero, <dove magari in maniera più larvata succedono le stesse cose, e forse succedono in tutto il mondo.> aggiungeva <Forse se una parte della società non è trasparente, quella percentuale nel momento che vota contribuisce al successo ed all’elezione di un politico onesto>

<E quindi perché ti scandalizzi tanto > ribadivano gli amici quasi canzonandolo.

<Non mi scandalizzo per niente; come detto succederà in tutto il mondo. Il problema che mi pongo, che non è nemmeno morale è invece diverso>. Ed ogni volta assumeva quasi un tono cattedratico per continuare <Fino a che punto un politico consapevole che la sua elezione è stata determinata da voti provenienti dalla area oscura della società, in seguito, da Onorevole favorirà consapevolmente questi elettori. <Saprà resistere alle pressioni del suo elettorato?> E già durante la ricerca dei voti era già conscio che da eletto avrebbe dovuto favorire questi elettori? Le discussioni non finivano mai. Continuavano fino a notte alta ma non portavano a niente. Ciascuno rimaneva comunque della propria idea, che poi ti rappresentavano tale e quale al prossimo incontro le medesime problematiche. Ruggero aveva conosciuto il Notaro nel corso degli anni, quando frequentava, qualche convegno relativo allo sviluppo del territorio. Ogni volta che l’ascoltava rimaneva come basito senza capire quale era l’argomento principale, l’obbiettivo, le conclusioni, ma gli applausi scroscianti degli partecipanti gli impedivano anche di riflettere. Abbandonava la riunione sconcertato, ma come poteva un elemento così rappresentare il territorio. Successivamente in più occasioni incontrandolo in circostanze conviviali tentava di scansarlo. Ma a volte non ci riusciva, <Ma lei non parla mai, è come se non gli interessassero gli argomenti d cui parlo > lo abbordò una volta pubblicamente il Notaro. <Ha ragione non sono un esperto e non ho argomenti per affrontare una discussione con lei, egregio notaio; così preparato su tutte le materie > la risposta apparve più come una provocazione. Gli amici lo riprendevano quasi rimproverandolo, <Ruggero ma perché sei così’ scontroso col Notaro?> ed aggiungevano altre facezie, <lo sai ti può essere utile, è comunque l’unico politico di questo territorio e poi è infilato un poco dappertutto. Altre volte incontrandolo al circolo lo scansava con un saluto formale. Non c’era empatia, anzi piuttosto Ruggero tentava di capire quale fosse il suo vero ruolo nel territorio, e non solo. E spesso quando lo incontrava nelle sue riflessioni si ripeteva l’adagio a cui era più legato. < Nulla è mai come sembra> ed il come sembra spaziava fino alle stelle, come sempre, da cui a volte pretendeva una risposta.

Certamente dalla costituzione del nuovo istituto bancario, si chiedeva quale fosse il suo ruolo nella Bancafin. Ruggero qualche volta riflettendo pensava, ma perché c’è bisogno ancora di una banca dalle nostre parti? Il territorio è stato sempre molto ricco di Banche, alcune a dimensione regionale, altre locali cooperative di diverso tipo. In un territorio non certamente ricco di strutture produttive, a prima vista sembravano un po’ troppe, Anzi eccessive. Le banche, al di là dei verosimili sospetti, nel passato, anche se non avevano mai dato un ritorno diretto al territorio, svolgevano un ruolo utile, alla massa di risparmiatori locali, che in mancanza di opportunità di investimento, appunto, in assenza di attività industriali, risparmiavano. Erano una vera e propria cassetta di risparmio e di piccoli utili, a volte superiori a quello delle banche nazionali

Si deve aggiungere però, pensava Ruggero, “Ma che fine facevano questi soldi” Nel passato? Sicuramente erano una bella torta, per alimentare gli istituti del Nord, che così, ancora una volta, usavano il territorio povero meridionale per avere risorse a basso costo da girare al comparto industriale del nord. Più avanti negli ultimi 50 anni, però le cose cambiarono, le banche aumentarono sproporzionatamente il numero degli sportelli, in misura più che rispondente rispetto allo sviluppo industriale. Anche degli anni Sessanta. Ruggero spesso chiedeva agli amici acculturati, <ma perché da noi non c’è sviluppo industriale come al nord?> posava la palla e dava il tempo alla risposta. Gli amici, dopo avere sistemato la cravatta a righe di popeline più volte, rispondevano con accento misto austro ungarico. <Vedi Ruggero per fare le industrie ci vogliono gli industriali. E noi non ne abbiamo> Ruggero si appiattiva al suolo, e rispondeva fingendo di aver capito, ma con un sorrisetto ironico, <si hai ragione non abbiamo industriali>.  Ma per Ruggero non era esauriente e non mancava mai, incontrando altri amici coltivati, di ripetere sempre la stessa domanda ed otteneva immancabilmente lo stesso esito. <Come aveva fatto insomma il giovane Davantali, in un momento non florido per la economia locale ad aprire di punto in bianco una banca>, si chiedeva, in una cittadina del sud poi, estremo sud, dove l’economia reggeva sul lavoro impiegatizio. Ed anche se era figlio Du Zu Cicciu, poteva essere sufficiente? E gli altri potenti glielo avrebbero lasciato fare. Perché? <In una terra di gente dura e dalla memoria lunga, Chi erano veramente i potenti in quel territorio, in mancanza di una solida attività produttiva. ?> si chiedeva. Ma non trovava risposte. Anzi di risposte ne trovava in abbondanza, ma semplicemente non riusciva a metterle in riga, in maniera logica per avere la soluzione che o soddisfaceva. Angela lo guardava stranita, ma ormai era abituata alle sue escursioni stellari; sapeva che Ruggero ne aveva bisogno come l’aria che respirava, e non si intrometteva mai nelle sue riflessioni che però leggeva benissimo fra le pieghe del suo viso e ne suoi occhi che erano per chi lo conoscesse un libro aperto. Ragionarono ancora su altre spigolature della paranza mentre lei era sempre attenta a non esporsi più di tanto. Alla fine convennero che dovevano condividersi costantemente tutte le informazioni, che sarebbero riusciti a raccogliere. Definirono infine un piano di lavoro dividendosi i compiti; Ruggero avrebbe lavorato sulla piazza e sui curtigghi, mentre lei avrebbe lavorato sui documenti. Poi Angela uscì, portandosi dietro le doppie chiavi datele da Ruggero.

24Andressa

Si era trovano così altre volte in altre parti del mondo, con altri personaggi uomini e donne che avevano contornato la sua vita artatamente movimentata. Andressa certamente ne includeva parecchi, così lontana dal mondo e dalle cose normali, racchiusa nei suoi neuroni come in una preghiera intima e progressiva non sorrideva mai, sempre assorta in un pensiero fisso, tuttavia riusciva a trasmetterti lampi interminabili di vita, rappresentati attraverso fotogrammi incollati come in un film d’altri tempi. Percorrevi in tale modo con lei sentieri sconosciuti, dove si muoveva con scioltezza in mezzo alle figure storiche che apparivano dall’ombra al suo passaggio, si scambiavano un muto dialogo per poi dissolversi nell’ombra da dove erano arrivati. Darrigo fu uno fra quelli che gli rimase maggiormente impresso. Piccolo e tremolante appariva come dal basso, piegato come a sorreggere con il dorso il peso della vita. Dopo qualche tempo indefinito volgeva lo sguardo verso di noi e silente intonava come una canzone, una nenia antica che riconoscevamo entrambi, che parlava di eroi e di santi. Il corpo gli vibrava, come se volesse levarsi dallo scheletro e gli occhi cancellati dalle ombre mandavano una luce infinita. Si rannicchiava di nuovo come nel bozzolo di una farfalla, e così d’un tratto scompariva lasciando una atmosfera incantata. Andressa, che era sempre presente nella vita di Ruggero, lo chiamava regolarmente per ricordargli un impegno improvviso o che era il suo compleanno “<Buongiorno Ruggero, lo so che non te lo ricordi ma oggi è il tuo anniversario buona vita per sempre>. D’un tratto svanì nessuno dei pochi amici comuni ne ebbe più notizia. Si immaginava si fosse fatta missionaria, o che fosse andata ad abitare in un luogo di lande glaciali in solitudine.  Nessuno ne aveva certezza. Ma Ruggero pensava invece che fosse ritornata nella sua famiglia a Berlino a dipingere alla maniera Bauhaus. E che un giorno sarebbe apparsa allo stesso modo come era svanita. <Buongiorno, oggi è il tuo compleanno Ruggero. Buona vita>. Immagini scomposte che si soprapponevano nei meandri sottili della sua brevissima vita, a volte come ombre, a volte come luci scintillanti. Umani che aveva incontrato e conosciuto giusto il tempo per sentire per loro un sentimento di trasparente amicizia. <Ma quanti erano si diceva? Pochissimi> si certamente non moltissimi, ma sufficienti per sentirsi gratificato, in maniera compiuta, nell’ambito delle dei rapporti interpersonali. Ma forse Gianni, la mente pazza, era quello che ricordava e percepiva con maggiore empatia, nei momenti come questo, quando si sentiva destrutturato fin sopra i capelli. Finiva di lavorare come Barman e DJ in un locale alla moda al porticciolo, ed a notte inoltrata veniva a trovarlo con due pizze caldissime, fantasia, e due amiche quasi sempre straniere. Non lo avvisava mai, un battere insistente alla porta, fino a farla vibrare, con la pretesa che gli aprisse subito; qualsiasi cosa stesse facendo. <E adesso festeggiamo l’amicizia [33]cu sti beddi fimmini che ti volevano conoscere>

<Giusto a me> si scherniva Ruggero. Sistemava la tavola velocemente, bicchieri di carta, posate d’argento della nonna, mentre rovistando nel frigo trovava sempre qualcosa da bere, e quindi ci invitava tutti a mangiare e libare, come se fosse una liberazione. Scombinava tutti gli LP preziosi di Ruggero, per sceglierne infine uno a caso, riscaldava i motori del giradischi vintage, controllava il Pick Up e poi si sdraiava sul divano con le sue amiche, una per lato, con un sottofondo musicale lieve e appassionato. Dopo un poco cominciava a raccontare la sua giornata con gli aneddoti paradossali e divertenti che gli succedevano, fino a quando non cominciava a parlare del Marchese la Tinna. Doveva esserselo inventato il nome, ma ormai era diventato di casa. <Miiiiiiiiiiiiiiii oggi alle undici come sempre è arrivato il Marchese. Tutto profumato di limone inacidito, petto in fuori testa in alto e con un tono quasi borbonico lisciandosi la cravatta di raso mi chiese <Potresti farmi un Daiquiri, originale senza Martini> poi come per scusarsi <stamattina la cameriera non è venuta> -come ogni mattina pensava Gianni-

<Per favore non allungarlo con soda, lo sai che solo bevo nature>.

<Assolutamente no signor marchese, tutto purissimo come sempre> Disponeva sul bancone i denari contati al centesimo, tutti spiccioli, e si sedeva in un angolino protetto con la vista sulla piazza. Ogni nuovo astante che arrivava se lo squadrava tutto a raggi x immersivi, e poi con una smorfia lo cancellava dalla sua vista; <un plebeo come tanti pensava il Marchese, che vengono qui ad inquinare l’aria del mattino.> Gianni continuava a dipingere ogni movimento, ed ogni occhiata benevola e maldestra che faceva il Marchese, mentre sorseggiava il Daiquiri con parsimonia, che lo faceva durare per una intera mattinata. <Miii Ruggero ti giuro, beveva goccia a goccia, leggendosi a gratis tutte le riviste, locali nazionali e straniere>. Aspettava il sorriso complice di Ruggero ed aggiungeva. <Non gli importava della data, gli interessava solo che i presenti ammirassero il colto Marchese immerso totalmente nella lettura di livello>. Finalmente trovava dietro la TV una bottiglia di Samperi, ed aprendola diceva <questo me lo bevo solo io; sono lagrime di bontà> Aggiungeva altre battute caserecce per fare sorridere le compagne e poi lo invitava ad uscire, <stasera ti voglio portare in un posto speciale, un club per soli intimi, musica sublime Jazz, Rock Soul autentico, da sballo > Alle solite scuse manifestate da Ruggero, <aspetto una telefonata internazionale, aspetto un’amica> si arrampicava sulle scuse sempre le stesse. Però sotto lo sguardo attento di Gianni smetteva presto. Entrambi sapevano che era la sua testa ad essere occupata.

 <Ruggero tu potresti avere tutto, ma ti accontenti di avere niente> per stasera ti saluto, concludeva Gianni e se ne andava canticchiando con le ragazze sottobraccio, quasi sbattendo la porta, lasciandolo a riflettere se caso mai forse avesse ragione o meno. E forse aveva sempre ragione.


[1] Barbiere

[2] Si Accomodi

[3] Farebbe bene a cambiare mestiere

[4] Piccolo Scampo

[5] Sto frequentando una ragazza adesso bianca bionda un seno enorme e un dietro ancora meglio ed ogni volta è un delirio

[6] Non ti posso dire com’è, bianca bruna un culo grandissimo

[7] Un colpo qua un colpo la e ho finito

[8] Diversivo

[9] Seccatura

[10] Pettegolezzo

[11] Pettegolava

[12] Ha sentito che è successo

[13] Perdere tempo inutilmente

[14] Piegati giunco perché passa la piena

[15] Litigavano

[16] Il danno e la beffa

[17] Punzecchiare

[18] Quando cominciano le assunzioni

[19] Le persone

[20] Arrabbiano

[21] Le cose sono due, anzi una dobbiamo sbrigarci

[22] Se gli piacciono le porcherie li faccia in un altro luogo, perché la gente chiacchiera

[23] E’ un avvertimento

[24] Si parla di molti soldi

[25] Dite al mio amico che io sono stato sempre di parola

[26] Di fare tutta questa confusione in pubblico non è più tempo   per queste cose. Oggi I soldi si guadagnano stando fermi a casa, non in strada a molestare le persone che lavorano

[27] Il carbone se non colora sporca, La buona fama s’oscura anco per calunnie.

[28] Ragazzi Siete venuti per mangiare a gratis

[29] Alla brace con aromi trapanesi

[30] Zia Peppina come si sente oggi, ho saputo che sua figlia si è fidanzata

[31] Tu sei stato per me la pioggia ed il sole, come l lagrime della luna vieni a illuminare i miei occhi e come i raggi del sole che mi rendono felice

[32] Compare senti dobbiamo fare questo affare. Tranquillo non preoccuparti per i soldi, ti aiuto io

[33] Con queste belle fanciulle

Peru Calidad Mercado

La Ue una oportunitade de extremo interes para las empresas latinoamericanas


El mercado Europeo 

desde siempre he sido entre los más importante por la venda de  pescado oje  con la globalization y mucho mas interessante

pq tiene Alto Volumen de Compras

Características del crecimiento constante y previsible a largo plazo

porque requiere una gran variedad de productos

porque está abierto a la innovación de productos

porque tiene una excelente red de distribución

ya que mantiene los precios más altos

Salvatore Bulgarella

El Enfoque: ” clave de éxito en el marketing internacional.”



Un enfoque correcto requiere de creatividad y te permite llamar la atención del mundo entero…

El Marketing Internacional permite a las empresas salir de sus fronteras geográficas y obtener ganancias en cualquier parte del mundo, y debido que la competencia también se internacionaliza se debe ser mas cauteloso para alcanzar el éxito en cualquier país, una de las herramientas que es de mucha utilidad y en el que nos centraremos en este articulo es el enfoque.

Enfoque es concentración, es prestar atención a algo en particular, es centrar todos nuestros recursos a un solo negocio.


Es importante enfocarnos en el mercado ya que cada mercado es único, muchas marcas grandes como Coca-Cola saben que deben enfocarse cada día a ofrecer lo que el cliente desea, a darle un mayor valor que el ofrecido por la  competencia, a responder rápidamente a los cambios del entorno comercial internacional, por lo que, muchas otras empresa  han optado por hacer alianzas estratégicas, fusiones para crear una sola red de marcas , pero trabajando con cada una de forma distinta porque aunque todas tienen el mismo fin de generar utilidades y valor para la empresa tienen mercados distintos, satisfacen diferentes necesidades,  a clientes con diferentes culturas por lo que incluso el  diseño, la publicidad y otros factores pueden variar, esto quiere decir que no podemos tener el mismo enfoque para todo, no se puede esperar que mejorar la calidad de las cámaras digitales me aumente las ventas de las pastas Colgate ya que son dos productos que se venden de manera distinta y son consumidos por diferentes razones .
Como inversionista se sabe que es inteligente diversificar la inversión para que en términos de rentabilidad general se vean resultados, pero, el enfoque no se generaliza, porque si el cliente no percibe valor en una marca dejara de adquirirla y en  este mercado globalizado solo sobreviviran los que comprendan que el enfoque es importante y  debe ser distinto para cada marca.

Si comienza la aventura de la internacionalización, ¡enfoquese!, si esta dentro de ella y no lo ha hecho ¡empiece por hacerlo!, concentrece en su mercado local y en el mercado de cada país en donde comercialice su marca, y recuerde que su negocio debe cambiar conforme las exigencias del mercado y si decide mejorar, eliminar, ampliar su linea de productos o introducirse a nuevos mercados, hágalo pero sea diferente, dele al cliente algo mas que la competencia.